L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II
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II.
Venendo alle relazioni dei sacerdoti, tralascerò — avendone accennato sopra — quelle che riguardano il vescovo ed i laici, e mi limiterò ai rapporti dei sacerdoti con i sacerdoti.
9. « E’ assai necessario che tutti i Presbiteri, sia diocesani che religiosi, si aiutino a vicenda » (24). « Nessun Presbitero è in condizione di realizzare a fondo la propria missione, se agisce da solo e per proprio conto, senza unire le proprie forze a quelle degli altri Presbiteri » (25).
Ricordate «Il vecchio e il mare » di Ernesto Hemingway? Per ottantaquattro giorni il pescatore girò al largo con la sua barca. Tese la rete gettò l’amo, fece di tutto. Non prese nulla. All’ottantacinquesimo giorno, finalmente; un grosso pesce abboccò e il vecchio gioì, Dovette: è vero, lottare col pesce., ma ebbe la meglio e poté avviarsi al porto, tirandosi dietro la preda nell’acqua. Ma, ecco, sulla scia della barca, i pescecani, Povero pescatore! Arrivato a terra, non rimanevano dei pesce che la testa, la spina e le lische con la compassione della gente! Era solo, da solo aveva osato troppo!
Non da soli e ciascuno per proprio conto! ammonisce il Concilio. Perché? Perché « le imprese apostoliche devono non solo rivestire forme molteplici ma anche trascendere i limiti di una parrocchia » (26). E' rotta, infatti, e pare per sempre, l'unità, geografica e si fa l’unità sociologica. La parrocchia non è più chiusa, ma aperta verso tutte le direzioni: non è più difesa come una turrita città medievale, ma indifesa. Da essa escono ogni mattina operai, studenti, professionisti, turisti e vanno a vivere altrove, rientrando solo la sera o dopo le vacanze, in essa entrano giornali, films e spettacoli televisivi, si reclutano soci dalle associazioni d’azienda, dai sindacati, dai partiti, dai circoli sportivi e di cultura. Come fa il parroco a seguire tutti? ad avere le doti, la competenza e il tempo per tutto? Ecco, allora, la necessità, di studiare in comune un piano di « pastorale d’insieme ». Per un dato tempo: per il settore degli operai, degli studenti, degli emigranti della stessa zona: mettendo insieme questi e questi mezzi comuni; associando laici esperti: suddividendo il lavoro e cercando' ciascuno di specializzarsi e di ragguagliare via via gli altri; « Tu per gli studenti! »: « A te gii operai! »;
« A te i problemi del cinema; »; in una visione unitaria: badando, più che a risultati individuali, ad un risultato globale, che faccia clima, che migliori l’ambiente, che crei o rassodi cristianamente le strutture!
10. « Anziani-giovani », problema eterno! Di recente Vittorio Bachelet ha citato uno scrittore greco di quasi tremila anni fa e uno scrittore indiano ancora più antico, che dicevano, fin da allora: « Che razza di gioventù si avanza adesso! Come mandano il mondo a catafascio! ».
I giovani pensano, di solito, che il mondo cominci da loro e che col passato sia da tagliare ogni ponte; si entusiasmano per il nuovo: sono discepoli affezionati di Bacone da Verulamio (« reformatio magna ab imis fundamentis! »), propendono, cioè, per le cure radicali; tolgono le cose vecchie, senza pensare che, se la faccenda non riesce, essi resteranno male: senza il vecchio e senza il nuovo! I vecchi dimenticano che sono stati giovani; che, se oggi frenano, trent’anni fa erano d’avanguardia; i cambiamenti sono spesso per essi il ciclone, il tornado, che rovescia istituzioni che erano la loro fatica, il loro vanto; vedono con occhi ben aperti quanta inesperienza (a volte quanta presunzione) si mescola all'innegabile e sincero entusiasmo di questi giovani, che credono di avere ricette infallibili per tutti i mali.
Cosa fare? Dice il Concilio: « I più anziani devono veramente trattare come fratelli i più giovani aiutandoli nelle prime attività e responsabilità del ministero, sforzandosi anche di comprendere la loro mentalità, per quanto possa essere diversa, e guardando con simpatia le loro iniziative. I giovani, a loro volta, abbiano rispetto per l’età e l’esperienza degli anziani, sappiano studiare assieme ad essi i problemi riguardanti la cura d’anime, e collaborino con loro (27).
11. « Non trascurino l’ospitalità » (28). Dove sei, buon don Giovanni De Mio? Se si veniva nella tua casa mansionarile di Caviola verso il mezzogiorno, l’invito al pranzo era immancabile. « Si fa in quattro e quattr’otto », dicevi. Al soffitto della cucina erano appesi dei ganci di ferro; tra un gancio e l’altro correva un bastone; ogni bastone portava le salsicce, che i fedeli, d’autunno, avevano portato come « primizia ». Tu salivi su una seggiola, spiccavi, col coltello, la salsiccia più vistosa e la mettevi, con le tue stesse mani, nel tegame e dieci minuti dopo s’era a tavola. Poveramente, ma cordialmente. E ci facevi sentire anche il grammofono, allora raro nei paesi di montagna. Come gli eroi d’Omero, che, per rallegrar l’ospite, facevano venire gli aedi a raccontare leggende e storie!
12. « Pratichino la beneficenza e la comunità di beni, avendo cura speciale di quanti sono infermi, afflitti, sovraccarichi di lavoro, soli» (29). Ci sono sacerdoti « che soffrono qualche difficoltà » (incomprensione da parte dei superiori, difficoltà economiche, relazioni difficili con autorità e popolazione); i confratelli « procurino di aiutarli a tempo, anche con delicato ammonimento, quando ce rie fosse bisogno » (30). Altri possono essere « caduti in qualche mancanza »; «li trattino sempre con carità fraterna e comprensione, preghino per loro incessantemente e si mostrino in ogni occasione come veri fratelli ed amici » (31). Ogni commento guasterebbe.
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(24) PO, 8 (1267).
(25) PO, 7 (1266).
(26) PO, 1 (1266).
(27) PO, 8 (1268).
(28) PO, 8 (1269).
(29) PO, 8 (1269).
(30) PO, 8 (1270).
(31) PO, 8 (1270).