Lettura del Giorno

Il sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II [Cap. 2 - II 4-5]

Albino Luciani
Albino Luciani

L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II

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4.   Anche la castità è messa dal Concilio in stretta correlazione col ministero. E’ stata raccomandata da Cristo, è stimata moltissimo nella Chiesa, certo, ma ciò vale per tutti. Per i sacerdoti vale, in più, che essa sia « segno e allo stesso tempo stimolo della carità pastorale, e fonte speciale di fecondità spirituale nel mondo » (63). Spieghiamo.

Segno di carità pastorale. Guardando alla vita casta del sacerdote gli uomini dovranno dire: Ha rinunciato con sacrificio a una famiglia sua per dedicare « pienamente e con generosità la propria vita per il gregge affidato » (64). Ciò aiuterà gli uomini e il ministero del sacer­dote.

Stimolo di carità. « Con il celibato i Presbiteri si consacrano a Cri­sto con un nuovo ed eccelso titolo ». In questo sentirsi e sapersi con­sacrati in un modo speciale, è lo stimolo. Per esso stimolo « aderiscono più facilmente a Lui con cuore non diviso, si dedicano più liberamente in Lui e per Lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggior efficacia il Suo Regno e la Sua opera di rigenerazione divina» (65).

Fonte speciale di fecondità spirituale. In forza del ragionamento seguente. Ministro di Dio è colui che dona la vita spirituale. Ma la fonte, da cui questa vita scaturisce, è verginale (« non dal sangue, né da volontà di carne, né da volontà di uomo, ma da Dio »). Anche la foce, cui questa vita andrà a sboccare, è verginale, perché in Paradiso uniche nozze saranno quelle dell’Agnello colla Chiesa sua sposa. E’ dunque conveniente che anche il sacerdote — canale mediatore tra la fonte e la foce — sia vergine e con una vita casta faccia venire in mente « quell'arcano sposalizio... che si manifesterà pienamente nel futuro » (66).

Noi abbiamo talora l’impressione di aver fatto un grande dono al Signore, abbracciando liberamente il celibato. E’ senz’altro così. Ma il Concilio ama sottolineare che abbiamo anche ricevuto un dono e parla del « dono del celibato... concesso in gran misura dal Padre ». esorta a « saper apprezzare questo dono meraviglioso ». ad « aver a cuore questo dono prezioso» (67).

5. Anche colla povertà il sacerdote deve realizzare una pastorale e un’ascesi. In vista della pastorale, che sì esercita in mezzo al mondo, i sacerdoti devono « imparare ad avere stima per i valori umani e ad apprezzare i beni creati come doni di Dio » per lo « sviluppo persona­le » e per « condurre una vita ben ordinata » (68). Devono, però, badare ad un « giusto rapporto » e alla « discrezione spirituale ». Questa esiste a due condizioni: 1) che i sacerdoti giungano «a quella libertà che riscatta da ogni disordinata preoccupazione »; 2) che « siano docili ad ascoltare la voce dì Dio nella vita di tutti i giorni ».. « respingendo quanto possa nuocere alla loro missione » (69), « senza affezionarsi in modo alcuno alle ricchezze », evitando « ogni bramosia e astenendosi da ogni tipo di commercio » (70). Per amore della evangelizzazione, che riguarda soprattutto i poveri, « i Presbiteri — come pure i Vescovi — cerchino di evitare tutto ciò che possa in qualsiasi modo indurre i poveri ad allontanarsi, e più ancora degli altri discepoli del Signore vedano di eliminare nelle proprie cose ogni ombra di vanità. Sistemino la propria abitazione in modo tale che nessuno possa ritenerla inaccessibile né debba, anche se di condizione molto umile, trovarsi a di­sagio in essa» (71). In vista dell'ascesi sacerdotale, il Concilio dona qualche norma, che rappresenta il minimum di una povertà sacerdo­tale. Si tratta di beni ecclesiastici? Impiegarli per la « sistemazione del culto divino, il dignitoso mantenimento del clero, il sostenimento delle opere dì apostolato e di carità, specialmente per i poveri» (72). Si tratta di beni procurati « in occasione di qualche ufficio ecclesiastico »? Messi a posto il proprio onesto sostentamento e i doveri del proprio stato, « il rimanente sarà bene destinarlo per il bene della Chiesa e le opere di carità » (73).

Il   dettato, oltre che ai sacerdoti è esplicitamente applicato ai ve­scovi. Tenuto conto da una parte che sacerdoti e vescovi non hanno famiglia e dall’altra che si tratta di beni dati con finalità altruistiche, converrà interpretare piuttosto rigidamente l’aggettivo « onesto » e con molta generosità la parola « il rimanente ». Questo è il minimum. Il maximum o almeno il plus, a cui il Concilio invita, è « la povertà vo­lontaria » colla quale i Presbiteri « possono configurarsi a Cristo in modo più evidente » (74). Questa povertà non è solo ascetica, ma anche pastorale, perché mette « in grado di svolgere con maggior prontezza il sacro ministero » (75). Essa ha una manifestazione pure raccoman­data e pure ascetico-pastorale cioè « un certo uso comune delle cose... che contribuisce in misura notevolissima a spianare la via alla carità pastorale » (76). Qualcuno ebbe a scrivere: se il Concilio di Trento è stato il Concilio della castità del Clero, il Vaticano II sarà il Concilio della povertà del Clero. E’ forse un’esagerazione, ma è vero che su questo punto soprattutto siamo sorvegliati; qui la gente ci aspetta oggi.

I miei sacerdoti del Burundi mi facevano notare: lavoriamo, ci dedichiamo a questa povera gente con tutte le nostre forze, essi ci seguono anche, ma rimane sempre in loro una punta di critica, una diffidenza che si intuisce e che, espressa in parole, suonerebbe: « Sì... ma voi siete ricchi! Abitate una casa di muro, avete scarpe, biancheria, la motocicletta, non vivete come noi! ». L’Aubert cita tra le cause dell’impopolarità del clero francese dell’800 l’agiatezza: « provvisto di ri­sorse modeste ma sufficienti, alloggiato convenientemente, fornito di una tavola discreta, il prete appariva agli occhi di molti come un piccolo borghese dalla vita facile, soprattutto trattandosi di parroc­chie rurali, dove il catechismo, qualche breve sosta in confessionale ed ogni tanto un battesimo o un funerale gli lasciavano molte ore libere, trascorse in occupazioni considerate in altri ambienti come diverti­menti: lettura del giornale, giardinaggio, visite, incontri con i confra­telli » (77). D’altra parte, è proprio la gente che a volte ci danneggia.

I buoni desiderano che il loro parroco sia circondato di certe comodità; regalano spesso il televisore, il salotto, l'auto, le bottiglie. Si cerca prima di dissuadere, di rifiutare, ma si finisce con l’accettare, persuadendo a noi stessi che tutto servirà ad un migliore nostro apostolato! Invece, qualche volta almeno, è una vera concessione all'amore del benessere e dei segni della ricchezza e del potere che sonnecchia sempre noi. Bisognerà tenere gli occhi aperti e sorvegliarci, notando che... è abbastanza facile evitare certe comodità nella casa, nel vestito, nei mobili e privarci di televisione, di giradischi, registratore, macchine fotografiche, Più difficile, rinunciare a ciò che ci distingue, che può nu­trire la superbia, come gli studi superiori, le cariche importanti, la cultura e il suo apparato, S. Gregorio: « Fortasse laboriosum non est ho­mini relinquere sua: sed valde laboriosum est reliquere seipsum » (78).

« Fa pastorale », però, che nel sacerdote si vedano risplendere, oltre le soprannaturali, anche le virtù cosidette umane: « di grande giova­mento risultano.. la bontà, la sincerità, la fermezza d'animo e la co­stanza, la continua cura per la giustizia, la gentilezza » (79). « Varrà come prete, ma non vale come uomo! », ho sentito dire una volta di un sacerdote, ma era un paralogismo: se non vale come uomo, tanto meno può valere come prete! Questi deve cercare dì riuscire perfetto anche come uomo, realizzando il detto, mi pare, di Shakespeare: « Tutto in lui armonizzava, e così bene che la Natura pareva levarsi in piedi, segnarlo a dito e proclamare: Questi era un uomo! ».

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(63)         PO, 16 (1296).

(64)         PO, 16 (1296).

(65)         PO, 16 (1297).

(66)         PO; 18 (1297).

(67)         PO, 16 (1298).

(68)         PO, 17 (1299).

(69)         PO, 17 (1299).

(70)         PO, 17 (1301).

(71)         PO, 17 (1303).

(72)         PO, 17 (1301).

(73)         PO, 17 (1301).

(74)         PO, 17 (1302).

(75)         PO, 17 (1302).

(76)         PO, 17 (1302).

(77)         R. AUBERT, Il Pontificato di Pio IX, Ed. Paoline, 1964, p. 577.

(78)         P'L. 76; pag. 1233.

(79)         PO, 3 (1249).