Lettura del Giorno

Il sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II [Cap. 2 - II 2-3]

Albino Luciani
Albino Luciani

L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II

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2.     « Come fare ad armonizzare la vita interiore con l’azione ester­na »? I sacerdoti « immersi ed agitati da un gran numero di impe­gni derivanti dalla loro missione » se lo chiedono, spesso. « con vera angoscia » (47). Non li spaventa — di solito — la molteplicità dei com­piti, la gravità del lavoro, ma il trovarsi nella confusione, nell'agitazione, nella polverizzante e stiracchiante dispersione. Mettete un or­dine alla vostra attività!, consigliavano alcuni. Mettete prima a posto le vostre pratiche di pietà e si farà, quasi automaticamente, l’unità e l'armonia che sospirate! consigliavano altri. Ma avevano un bel dire: una regolarità esterna, o è impossibile, perché arrivano imprevisti a tutti i momenti, oppure non basta a evitare l’agitazione. L’orario poi classico delle pratiche dì pietà suppone giornate simili l'una all’altra. Spesso, invece, le giornate sono differentissime, mandano all’aria l’o­rario della preghiera, obbligando a rimandi, a omissioni e generando angustie d’animo.

A quali mezzi ricorrere? Primo: «unirsi a Cristo nella scoperta della volontà del Padre e nel dono di sé per il gregge » (48), Prendere, cioè, se ben capisco, l’abitudine di rivolgersi — con calma, senza an­sietà — al Signore e di dire: Desidero solo darmi per il bene degli altri; quali, fra tante possibili cose,’ devo fare e come devo fare? Come faresti, se tu fossi al mio posto, in questa situazione? Ambisco solo di esserti fedele! Secondo: poiché « la fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa », decidere di lavorare « sempre in stretta unione con i Vescovi e gli altri fratelli nel Sacerdozio », In altre parole: « trovare l’unità della propria vita nella unità stessa della missione della Chiesa » (49). Dare alla propria attività un centro: Cristo e il vescovo.

3.     « La sola carità ci stabilisce nella perfezione, ma l’obbedienza, la castità e la povertà sono i tre grandi mezzi per acquistarla... sono le tre braccia della croce spirituale, tutte e tre pertanto fondate sul quarto, che è l’umiltà... siamo tutti obbligati alla pratica di queste tre virtù, sebbene non tutti a praticarle nella stessa maniera... ». Così Fran­cesco di Sales (50).

Il     Concilio delinea la « maniera » dei sacerdoti diocesani, che devo­no essere obbedienti, casti e poveri non soltanto per diventare, più perfetti come i religiosi, ma soprattutto per fare meglio l’apostolato. Si tratta di « virtù che più sono necessarie nel ministero » (51). Os­servando i tre voti, i religiosi realizzano un’ascesi; praticando le tre virtù, i sacerdoti diocesani realizzano insieme una pastorale e un’ascesi.

L’obbedienza sacerdotale è legata all'umiltà. Lo dice già il sotto­titolo (non ufficiale) « umiltà e obbedienza » (52). Sei umile? Ciò vuol dire che sei disponibile per Dio, per Cristo, per i Superiori gerarchici, che sei a servizio di chi ti è stato affidato, che sei « mani e piedi legato dallo Spirito » (53). Vuol dire che sei « consapevole della propria debolezza », che capisci come l’opera divina della salvezza delle anime « trascende ogni forza umana e qualsiasi umana sapienza ». Tutto ciò ti aiuterà e porterà a obbedire (54).

L’obbedienza sacerdotale è legata anche alla carità. « Siano uniti al loro vescovo con sincera carità e obbedienza » dice il Decreto Presbyterorum Ordinis (55). E, continuando, sviluppa: Vuoi lavorare per le anime, fare « il ministero sacerdotale »? Ma questo non è ministero slegato, svolto da uno qua e da uno là; è, in blocco, « il ministero della Chiesa stessa, non può essere realizzato se non nella comunione gerar­chica di tutto il Corpo ». Di nuovo, tutto ciò ti aiuterà e porterà a obbedire (56).

Dirai: Ma se io vedo una nuova necessità e nessuno imparte nuove direttive a provvedere? Dovrò soffocare la carità, che mi spinge a cer­care nuove vie? Non si soffoca niente; hai la « matura libertà dei figli dì Dio »; sempre che si tratti di ricerca prudente, fa sapere con fiducia le tue iniziative, disposto però sempre a sottometterti al giudizio del vescovo (57). « L’obbedienza — diceva già il Cavigioli — è l’argine dello spirito di iniziativa: I'argine, non l'alveo: lo regola, ma non lo crea e neppure lo sopprime ».

Una obbedienza così intrisa di carità ha una caratteristica: è « per­vasa dallo spirito dì collaborazione» (58), è «responsabile e volontaria » (59). Il che vale tanto per chi comanda quanto per chi obbedisce.

Vediamo quelli che comandano: « sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumere da soli tutto il peso della missione salvifica » (60); devono considerare i sacerdoti come figli, fratelli ed amici (61); chiedano quindi dei pareri, non presumano troppo; chiedano l’obbe­dienza « responsabile e dì collaborazione ». E poi, quello che importa, è raggiungere lo scopo: perché non limitarsi — in certi casi — a esprimere un invito, un desiderio, una preferenza, se ciò ottiene dai sudditi altrettanto o più che un decreto, una legge, un comando? E non si accontentino che i sudditi pongano determinate azioni, ma cerchino che amino le azioni poste.

Vediamo quelli che obbediscono. Sono sacerdoti, hanno (si suppo­ne) il sensus Ecclesiae. Dovrebbe trovarsi nella loro mente, impiantato fin dai giorni del Seminario, il seguente, processo mentale. 1 ) Io voglio lavorare per la diocesi. 2) La diocesi non pesca con l’amo, ma colla rete: utile cioè e redditizio è quello che si fa dai sacerdoti insieme, col vescovo in testa; quello che non entra nella corrente diocesana è desti­nato presto o tardi a perire. 3) Io desidero, voglio svolgere nel lavoro comune la parte che mi verrà assegnata, e che accetto fin d’ora, qualun­que essa sia.

Quando l'assegnazione viene fatta, il « voglio » già preparato, scatta e costituisce « obbedienza volontaria e di collaborazione »: può darsi, infatti che non piaccia il compito avuto; piace però il lavoro di tutta la diocesi,, in. cui il compito avuto si inserisce come parte nel tutto. E’ obbedienza « responsabile », perché è frutto dì convinzione associata a senso del dovere. A qualcuno forse ciò sembra troppo poco e desidera più rigido il nerbo della disciplina. Io non sono infallibile; penso tut­tavia, umilmente che si debba evitare dì creare nel Presbyterium aria di « Casa d'Austria » e, ancor più, la psicosi o il complesso della di­sobbedienza, per cui ad ogni piè sospinto il Superiore grida: « Hai di­sobbedito! » oppure: « Preparatevi a obbedire, perché io son preparato a castigare i disobbedienti »! L’obbedienza è necessaria, ma sembra più bella, più facile e redditizia, se chiesta e prestata in un clima di famiglia anziché in un clima di diffidenza reciproca. « I sacerdoti rico­noscano nel Vescovo il loro padre e gli obbediscano con rispettoso amore. Il Vescovo poi consideri i sacerdoti suoi cooperatori come figli e amici » (62) dice il Concilio. In un clima di famiglia le cose si sdrammatizzano più facilmente. Il figlio talvolta non è d’accordo col padre; questi ne ha dispiacere, ma continua a voler bene al figliolo, che è suo sangue, che resta di casa, e viceversa, e le cose un po’ alla volta si rias­sestano senza traumi psichici, eccetto casi patologici o eccezionali. Ac­canto poi alla « obbedienza di collaborazione », quando sia compro­messo l’ordine o si veda in pericolo il bene comune, bisogna far fun­zionare « l’obbedienza di disciplina ». Ho un buon motore, ma le ruote si ostinano a rimanere quella di destra, piccola, quella di sinistra, grande. Per non andar a finire nel fosso, bisogna con energia mettere due ruote eguali.

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(47) PO, 14 (1290).

(48) PO, 14 (1291).

(49) PO, 14 (1291-1292).

(50) Filotea, parte 3, cap. 11.

(51) PO, 15 (1293).

(52) Cfr. n. 15 del Decreto Presbyterorum ordinis.

(53) Atti 20, 22.

(54) Cfr. PO, 15 (1293).

(55) PO, 7 (1265).

(56) PO, 15 (1294).

(57) PO, 15 (1294).

(58) PO, 7 (1265).

(59) PO, 15 (1295).

(60) LG, 30 (361).

(61) LG. 28 (355); PO, 7 (1264).

(62) LG, 28 (355).