Lettura del Giorno

Il sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II [Cap. 2 - II-1]

Albino Luciani
Albino Luciani

L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II

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II.

Al secondo quesito (Quale la via alla santità sacerdotale?) il Concilio non dà una risposta esplicita, ma — a mio giudizio — elementi, che, sviluppati e approfonditi, possono portare in seguito a una risposta. Si chiede: pone il Concilio una diversità (non dico un’opposizione) tra la spiritualità dei religiosi e quella dei sacerdoti diocesani? Se pren­diamo le due spiritualità, quali oggi delineate e ravvicinate dal Con­cilio, la diversità sembra ben piccola. Alcuni Padri avevano proposto questo titolo: « Decreto sul Ministero e la vita dei Presbiteri specialmente diocesani ». La Commissione cancellò « specialmente diocesani », perché « lo Schema ha valore per tutti i sacerdoti in. quanto esercitano un ministero in virtù del loro sacerdozio» (29).

C’è, invece, qualche diversità tra la via proposta — sia pure un po’ confusamente — ai sacerdoti dopo il Concilio e la via presentata ai religiosi (e di riflesso agli stessi sacerdoti) prima del Concilio e negli stessi primi schemi conciliari. « Quanto era detto (nello schema ante­cedente) sulla santità sacerdotale... era presentato in relazione ai consi­gli evangelici; tali esigenze sono ora presentate in relazione col ministero pastorale » (30).

1.      « L'esercizio consapevole del ministero » (Presbyterorum Ordinis, n. 18) come spinta alla santità sacerdotale, è un primo elemento nuovo.

Fin da tempi antichissimi s’era partiti col distinguere vita contemplativa e vita attiva. La prima era presentata come l’ideale di tutti coloro che volevano santificarsi. « Isolarsi dal mondo per immergersi in Dio! » avevano detto i monaci: la formula era passata agli Ordini mendicanti; da questi ai « chierici regolari », tra cui i Gesuiti; da questi ai Seminari; dai Seminari ai sacerdoti. La distinzione poteva passare. E’ vero che S. Gregorio Magno, S. Bernardo e S. Teresa sono stati insie­me grandi contemplativi e prodigi di azione e, succhiati da uno zelo divo­ratore, hanno dato ai loro contemporanei l’impressione di essersi fatti santi specialmente colla loro dedizione, ma, insomma, il binomio con­templazione-azione con la preferenza data alla contemplazione, andava.

Qualcuno però, non contento di distinguere, cominciò ad opporre, quasi che l’azione, anche necessaria, anche apostolica, fosse un pericolo, un impedimento per la vita interiore. Il « maledictae occupationes! » di S. Bernardo viene ripetuto, in senso retto — seppure un po’ marcato — da Bartolomeo de Martyribus, da Lallemant, da Chautard, ma non tutti i lettori capiscono bene; qualche predicatore, parlando al clero, carica un po’ le tinte; l’Americanismo, chiamato da un papa « eresia dell’azione » mette paura. E anche l’azione mette paura a parecchie anime. « Signore, appena finito con queste pentole, vengo a fare un po’ di bene in cappella! » dice qualche pia suora e non ricorda che prepa­rare la cena agli ammalati è pure « fare un po’ di bene » e che anche delle pentole il Signore si interesse. « Saldi e fedeli alle pratiche di pietà, alla meditazione quotidiana fatta prima della Messa, eccetera, per difendere la vostra vita interiore! » insisteva continuamente il pa­dre spirituale coi seminaristi. Ed era più che giusto. Ma non è giusto presentare l’azione pastorale prevalentemente come avversario da cui difendersi e dimenticare quanto stimolante essa sia per il progresso dell’anima. Non è giusto tacere che è essenziale pel sacerdote bruciare di zelo per le anime e lasciar credere che il sacerdote fedele alle pratiche di pietà è — per ciò solo — un santo. Neppure è giusto argomentare così: Fatti prima santo colle pratiche di pietà e colle virtù cosiddette « passive ». Poi presentati al pubblico, parla e opera, ricordando che non la parola o l’opera, ma solo la santità accumulata e risplendente sulla tua faccia opererà il bene.

S. Paolo ha predicato ai Tessalonicesi « notte e giorno al lavoro per non essere di peso a. nessuno » (31); « a tutti (s’era fatto servo) per guadagnare la più parte », s’era « fatto tutto a tutti, per riuscire in tutti i modi a salvarne » (32); era « in viaggi incessanti, in pericoli... in travaglio ed affanno, in veglie assidue... oltre il resto, la preoccupazione quotidiana, la sollecitudine di tutte le chiese » (33).

Al seguito di S. Paolo, Vincenzo de’ Paoli ha tracciato così la santità sacerdotale: « Amiamo Dio, fratelli, amiamo Dio, ma a spese delle nostre braccia, con il sudore della nostra fronte, perché, molto spesso, tanti atti di amor di Dio. di compiacenza, di benevolenza e altri simili affetti e pratiche intime di un cuore tenero, sebbene buonissime e desidera­bilissime, sono non di meno sospette, quando non giungono alla pratica dell'amore effettivo. ” In questo, dice Nostro Signore, sarà glorificato il Padre mio, se produrrete frutti copiosi" (34), Dobbiamo badarvi, perché molti, per avere un buon contegno ed essere intimamente pieni di grandi sentimenti di Dio, credono di aver fatto tutto; e quando si arriva al fatto e si trovano nell'occasione di operare vengono meno. Si lusingano colla loro immaginazione eccitata; si contentano delle soavi conversazioni che hanno con Dio nell'orazione, ne parlano, anzi, come angeli; ma usciti di lì, se si tratta di lavorare per Iddio, di soffrire, di mortificarsi, d’istruire i poveri, di andare a cercare la pecorella smar­rita, di essere lieti se sono privi di qualche cosa, di accettare le malattie

o  qualche altra disgrazia, ahimè! non c'è più nulla., il coraggio manca. No, no, non c’inganniamo: « Totum opus nostrum in operatione consistit » (35).

Antonio Chevrier, scultoreamente, ha detto: « Il sacerdote è un uo­mo mangiato ». In questo stesso atteggiamento il Concilio dice dei sacerdoti: « anziché essere ostacolati alla santità dalle cure apostoliche, dai pericoli e dalle tribolazioni, ascendano piuttosto per mezzo di esse ad una maggiore santità, nutrendo e dando slancio con l'abbondanza della contemplazione alla propria attività, per il conforto di tutta la Chiesa di Dio » (36),

« Praticano l'ascetica propria del pastore d'anime, rinunciando ai propri interessi e mirando non a ciò che fa loro comodo, bensì a ciò che è utile a molti, in modo che siano salvi » (37).

« Nell’esercizio stesso della attività pastorale troveranno il vincolo della perfezione sacerdotale » (38).

Per armonizzare la vita interiore con l’azione esterna « non bastano né l’ordine puramente esterno delle attività pastorali, né la sola pratica degli esercizi di pietà » (39).

Queste sono asserzioni. Seguono la prova e le applicazioni pratiche. Ecco la prova. La via della santità sacerdotale deve coincidere colla via battuta da Cristo. Ma Cristo « offerse sé stesso in favore nostro per redimerci... con la passione entrò nella sua gloria ». « Allo stesso modo i Presbiteri... mortificano in se stessi le opere della carne e si dedicano interamente al servizio degli uomini, e in tal modo possono proseguire nella santità » (40); « esercitando il ministero... vengono consolidati nella vita dello spirito » (41).

Ed ecco le applicazioni pratiche. Tu, sacerdote, devi predicare la parola di Dio. Ma prima devi leggerla, ascoltarla e applicarla a te stesso; sarai così il primo beneficiario della tua predicazione, discepolo prima che maestro. Quando poi avrai davanti l’uditorio, ti troverai nella con­dizione di Paolo, che, faceva pervenire parole agli orecchi, ma si accor­geva che era il Signore ad aprire il cuore a Lidia, mercantessa in porpore. Anche tu, davanti agli uditori, sentirai il bisogno di unirti a Cristo, di farti guidare dal suo Spirito, ti sentirai investito dalla carità di Dio (42).

Continuando, il Concilio fa capire: Come puoi offrire nella Messa la Vittima, senza pensare ad essere un po’ vittima anche tu? A chi si comunica viene comunicata la carità di Cristo; ma a te, sacerdote, la carità di Cristo, in quanto è Colui che si dà (43). Tu leggi e pasci il popolo di Dio e ti imbatti in difficoltà; non puoi non ricordare la carità del Buon Pastore, l’esempio di quei sacerdoti che anche ai giorni nostri non sono indietreggiati di fronte alla morte (44).

Ancora una volta, si conclude: i sacerdoti « sono ordinati alla perfezione della vita in forza delle stesse sacre azioni che svolgono quotidianamente, come anche di tutto il loro ministero » ( 45 ).

Resta, naturalmente, vero che la « stessa santità dei Presbiteri, a sua volta, contribuisce non poco al compimento efficace del loro ministero» ( 46 ).

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(29) Relazione Marty, 2-12-1965.

(30) Relazione Marty, 12-11-1965.

(31) 1 Tess, 2, 9.

(32) 1 Cor. 9, 19 e 22,

(33) 2 Cor, 11, 26-28.

(34) Giov. 15, 8.

(35) S. VINCENT de PAUL, Corresp., Entret., Docum., édit. P. Coste. Paris 1920-25: tom. XI, pp. 40-41.

(38) LG, 41 (392).

(37) PO, 13 (1289).

(38) PO, 14 (1291).

(39) PO, 14 (1290).

(40) PO, 12 (1283).

(41) PO, 12 (1284).

(42) PO, 13 (1287) con nota 10.

(43) PO, 13 (1288).

(44) PO, 13 (1289).

(45) PO. 12 (1284).

(46) PO, 12 (1284).