L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II
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2. Supponiamo che i sacerdoti realizzino e accumulino santità: è santità nella Chiesa, ma dev’essere messa in rapporto con la santità della Chiesa. Di questa Chiesa santa ci hanno parlato i « manuali » in maniera piuttosto idealistica e apologetica; il Concilio ce ne parla in maniera più realistica e pastorale. Perfettamente santa sarà la Chiesa « escatologica », raccolta in Paradiso, dopo la fine del mondo; allora si avrà la « Sposa senza ruga, senza macchia », di cui Efes. 5, 27. La Chiesa pellegrinante di adesso, invece, comprende, vicini ai giusti, i peccatori; si può dire di essa che deve sempre rinnovarsi e purificarsi, che è fidanzata di Cristo in attesa delle nozze più che sposa sposata. Bisogna tuttavia tener presenti quelli che sono già arrivati alla gloria; sapendoli lassù, possiamo dire: la Chiesa è già santa! (14). Alla stessa maniera il sagrestano, che vede rientrare nel tempio la prima croce ed i primi fedeli, dice: La processione è già in Chiesa!, e invece l’ultima coda di essa sta ancora snodandosi sulle vie e sulla piazza esterna!
La santità della Chiesa — diceva il Card. Bea (15) — non è statica, ma dinamica, qualcosa che è in moto, che va progredendo. Il modello cui si ispira, lo specchio in cui si guarda la Chiesa nel suo sforzo di rinnovamento è Cristo, cui dì continuo chiede; Come mi vuoi? Anima del dinamismo, che continuamente incita, sprona e muove è Io Spirito Santo (16).
Connesso al tema della santità è un secondo, che percorre da un capo all'altro tutti i documenti conciliari, della salvezza offerta e riofferta, presentata e ripresentata con infinita misericordia a tutti gli uomini, anche fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica (17). Dico « connesso », perché « salvezza » non è solo liberazione dai peccato, ma divinizzazione: non è solo guarigione dalia malattia, ma prosperità e fioritura di salute spirituale. In questa visuale, la santità sacerdotale deve configurarsi — a mio giudizio — negli atteggiamenti seguenti.
a) Il sacerdote postconciliare dice: La mia santità non è solo mia; è ecclesiale, della Chiesa, per la Chiesa; io devo farmi santo anche per far crescere il capitale di santità della Chiesa e la sua capacità di santificare.
b) Per santificarsi deve tenersi stretto a Cristo e allo Spirito di Cristo! Quante volte il Concilio raccomanda ai sacerdoti la docilità allo Spirito Santo (18). Nei primordi, della Chiesa, lo Spirito prima diceva a Filippo diacono: Accostati al cocchio! e poi, appena battezzato l’Etiope, senza lasciargli tempo, rapiva Filippo, perché evangelizzasse tutte le città da Azoto a Cesarea (19); impediva a Paolo di predicare in Asia, perché anticipasse l'evangelizzazione nella Macedonia (20). Adesso il sistema continua : « ...esercitando il ministero dello Spirito... ( i sacerdoti) vengono consolidati nella vita dello Spirito, a condizione però che siano docili agli insegnamenti dello Spirito di Cristo che li vivifica e li conduce... Dio, ordinariamente, preferisce manifestare le sue grandezze attraverso coloro che, fattisi più docili agli impulsi e alia direzione dello Spirito Santo, possono dire con l'Apostolo... « Ormai non sono più io che vivo, bensì è Cristo che vive in me » (21).
c) Il sacerdote postconciliare deve orientarsi più verso un’ascetica antropocentrica che teocentrica. Mi spiego. I teocentristi tendono a presentare Dio soprattutto nella sua conturbante Maestà di Creatore e Giudice degli uomini. Dicono: Prima di tutto adorateLo, lodateLo! Questo è il vostro compito capitale; gli altri doveri sono subordinati a questo: Dio è il problema dei problemi; i vostri problemi, la vostra personalità vanno in qualche modo dimenticati e annegati in questo primo problema. Dovete diventare buoni, santi, ma per poter meglio adorare e più degnamente lodare! Qui si inserisce specialmente l'ascetica benedettina per cui la recita del Breviario è l’opus Dei, esercizio fondamentale di tutta la vita cristiana; i monaci, ed un po’ i fedeli, sono Angeli in terra; la regola è Nil operi Dei praeponatur! Gli antropocentristi, invece, presentano Dio soprattutto come Padre misericordioso, come confidente ed amico dell’uomo. Grande preoccupazione dì Dio è che gli uomini si salvino, che le anime si abbelliscano e progrediscano, che tutti — popolo di Dio e cosmo con esso — arrivino a realizzare i sublimi destini prefissati da sempre. Essi non dicono: Siate buoni e così adorerete meglio! Ma, viceversa: Pregate e così diventerete buoni e sarete felici, è questo che Dio desidera! La preghiera è concepita come mezzo e sussidio, la perfezione come scopo. La perfezione è fiamma, luce; la preghiera è l'olio che produce e alimenta la fiamma. Il peccato stesso è sì gravissimo male e ferita a Dio, ma ferita specialmente in quanto ferisce e rovina l’uomo. Fate però che il peccato diventi appena capace di essere utilizzato e catturato per il bene dell'uomo: esso si trasfigura. « Lo scorpione che ci punge è velenoso allorché ci tocca, ma ridotto in olio è un gran medicamento contro la sua stessa puntura: il peccato è vergognoso solo quando lo commettiamo, ma, convertito in confessione e penitenza, è onorevole e salutare » (22).
Le anime, pertanto, più che troppo fissarsi nella contemplazione dolorosa del passato colpevole, devono far presto a risorgere, volgendosi all'avvenire, che può essere di santità radiosa, dal momento ch’è a nostra disposizione una misericordia infinita. « Care imperfezioni
— diceva S. Francesco di Sales — che ci fanno conoscere la nostra miseria! » (23). « Odiate le vostre imperfezioni, perché sono imperfezioni, ma anche amatele perché esse... danno occasione a voi di esercitare la virtù e a Dio di esercitare la sua misericordia » (24).
Non pochi spunti di questo antropocentrismo sono penetrati nel Concilio. Nella « Gaudium et spes » c’è tutta un’antropologia e teologia delle realtà umane e terrene. Poi, proprio nel cuore del discorso sui dovere per tutti di farsi santi, è inserito un discreto accenno alla nostra debolezza: « E poiché tutti commettiamo molti falli, abbiamo continuamente bisogno della misericordia di Dio e dobbiamo ogni giorno - pregare: « E rimetti a noi i nostri debiti» (25). Anche ai sacerdoti si parla di santità « pur nella naturale debolezza » (26). Del vescovo, citando Hebr. 5, 1-2, si dice che, « soggetto a debolezze, può benissimo compatire a quelli che peccano, per ignoranza o errore » (27). Gli esercizi di pietà sono detti « sussidi per la vita dei presbiteri... per poter alimentare l'unione con Cristo... mezzi ai fini della, santificazione propria dei Presbiteri » (28). Insomma, esiste l'impegno stretto alla santificazione sacerdotale, ma rischiarato dalla misericordia di Dio, con larghe finestre di speranza aperte per chi sinora è stato negligente.
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(14) LG, 8 (304), 14 (324), 65 (441); UR, 4 (513); DH, 12 (1073); GS, 36 (1431).
(15) 30-10-1963.
(16) LG, 4 (287), 38 (386), 40 (388 e 389); PO,13 (1287 e 1289):GS, 43,(1459):
AG, 4 (1095): GS, 21 (1382); PO, 22 (1316); PC. 2 (706): SC. 43 (76).
(17) LG, 15 (325), 16 (326) e 17 (327).
(18) Cfr., ad esempio., LG, 8 (304 e 307), 20 (332), 22 (337), 27 (352): PO, 6
(1257), 7 (1264), 13 (1286) e 15 (1293).
(19) Cfr. Atti 8, 26-40.
(20) Atti 16, 6-10.
(21) PO, 12 (1284).
(22) F. di SALES Filotea, 1. I, c. 19.
(23) Lettera alla signorina de Soulfour, 22-7-1603, ediz. di Annecy, tomo XII, p. 205.
(24) Lettera alla Presidente Brulart, 7-4-1606, tomo XIII, p. 167.
(25) LG, 40 (388).
(26) PO, 12 (1282): 2 Cor. 12, 9.
(27) LG, 27 (353).
(28) PO, 18 (1304).