L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II
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11. La famiglia piccola è invece costituita dal « Presbiterio », la comunione di tutti e soli i sacerdoti incardinati o addetti ad una diocesi col loro vescovo e tra di loro (80). Essi « costituiscono un solo presbiterio e una sola famiglia, di cui il vescovo è padre » (81). Tra essi l’unione è frutto di « particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità (82). Il vescovo non vede nei suoi preti solo dei subordinati, dei controllati, ma fratelli e amici, che lavorano con lui (« collaboratori »); i sacerdoti, a loro volta, sentono ch’essi non esercitano un lavoro che non ha nulla a che fare col lavoro degli altri, ma prendono parte al lavoro di tutta una famiglia.
Una famiglia, una comunione che può essere più o meno notata, più o meno messa in risalto, ma che è inamovibile, che fa parte dell’essenza di una diocesi; il Concilio la include nella nuova definizione di Diocesi (83).
Qui è evidente una somiglianza col Collegio dei vescovi: come non c’è Collegio episcopale senza Papa incluso, così non c’è Presbiterio senza il vescovo incluso. Nessuno, quindi, si sogni di concepire il Presbiterio come unione fra preti o comunità dei preti di fronte al vescovo o senza il vescovo o contro il vescovo; il Presbiterio è comunità col vescovo.
Evidente anche una profonda differenza. Nel Collegio episcopale i vescovi, pur essendo sub Papa, sono vicari di Cristo nelle loro diocesi, con poteri ineliminabili; nel Presbiterio, i Presbiteri rappresentano il vescovo nei posti che tengono ed esercitano i poteri in dipendenza e derivazione dal vescovo: « in nome del vescovo riuniscono la famiglia di Dio come fraternità animata nell’unità » (84); « nel conferire i Sacramenti... lo rendono presente... » (85).
Il clima della famiglia presbiterale è di « intima fraternità » e carità. Al vescovo i Presbiteri devono riverenza, carità, obbedienza, rispetto e generosa collaborazione. Il vescovo, a sua volta, deve soprattutto amare, aiutare spiritualmente e materialmente i suoi sacerdoti... e farsi da loro aiutare! Quest’ultimo, il dovere più originale, è espresso così: « Siano pronti ad ascoltare il parere (del Presbiterio) anzi, siano loro stessi a consultarlo e a esaminare assieme i problemi riguardanti le necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi. E perché ciò sia possibile nella pratica, ci sia — nel modo più confacente alle circostanze e ai bisogni di oggi, nella forma e secondo norme giuridiche da stabilire — una commissione o senato di sacerdoti in rappresentanza del Presbiterio, il quale con i suoi consigli possa aiutare efficacemente il Vescovo nel governo della diocesi» (86).
Qui ci troviamo di fronte a uno degli organi, in cui il Presbiterio si esprime e dal quale viene rappresentato ( « coetus sacerdotum Presbyterium repraesentantium »): il Consiglio Presbiterale.
Ho detto « uno degli organi ». Ce ne sono infatti altri, che però vanno considerati espressione del Presbiterio solo se rappresentano insieme e Vescovo e sacerdoti.
Così il Sinodo diocesano (87), riunione di tutti i sacerdoti di una diocesi attorno al loro vescovo, unico legislatore; organo classico, esso rappresenta al massimo il Presbiterio, ma non è permanente. Sta, pressappoco, al Consiglio Presbiterale come il Concilio Ecumenico sta al Si- nodo dei Vescovi.
Così — per i membri non laici — la Curia Vescovile, se ordinata << in modo da diventare un mezzo idoneo, non solo per l’amministrazione della Diocesi, ma anche per l'esercizio delle opere di apostolato » (88).
Così il Capitolo cattedrale, se ad esso « si diano, quando è necessario, nuovi regolamenti, corrispondenti alle esigenze dei nostri tempi » (89).
Così — per quanto attiene ai membri non laici — il Consìglio Pastorale (90); le Commissioni Liturgica e di Arte Sacra (91); la Commissione per il Laicato (92), per le Missioni (93), per una migliore distribuzione dei beni tra sacerdoti con eventuale Cassa di integrazione (94).
Attenzione va qui posta sul Consiglio Presbiterale e il Consiglio Pastorale, organi distinti e differenti. Il Consiglio Presbiterale infatti è obbligatorio « habeatur » (95). Non pare esatto e secondo lo spirito del Concilio tradurre habeatur con « è bene che esista », parlarne come di «una possibile nuova forma giuridica » (96). demandarne l'esecuzione ai lontani tempi del nuovo Codice e ridurlo al Capitolo cattedrale presentato in nuova edizione migliorata (97).
Il Consiglio Pastorale è « a Decreto Chrisius Dominus valde commendatum » (98). Il primo è composto di soli sacerdoti, con possibilità di comprendervi religiosi addetti in diocesi a cura d’anime o all’apostolato; il secondo anche di religiosi e laici. Il primo ha lo scopo di aiutare il vescovo con consigli su tutto l’ambito del governo « in regimine dioecesis »; il secondo ha piuttosto scopo di studio limitatamente al settore pastorale ( « ea omnia, quae ad opera pastoralia spectant investigare, perpendere atque de eis exprimere conclusiones practicas »). E’ previsto che l’opera del Consiglio Pastorale sia preceduta da « stu- dium praevium, ope adhibita, si casus ferat, Institutorum seu officiorum, quae in hunc finem adlaborent » (99). « Sede vacante », il primo normalmente scade; il secondo continua a funzionare.
Circa il modo di costituirli e di farli funzionare, nulla di preciso è stabilito; « modo ac forma ad Episcopo statuendis » (100); « liberae Episcopi dioecesani determinationi relinquuntur » (101). Si raccomanda solo che « Episcopi, praesertim in Conferentiis adunati, communia con- silia capiant et normas edant similes in omnibus territorii dioecesi- bus » (102).
Non si può escludere che tutti i membri siano scelti dal vescovo. Lasciano al vescovo questa libertà i documenti conciliari e la stessa struttura del Presbiterio. Personalmente penso che l’elezione almeno parziale dei membri del Consiglio Presbiterale risponda meglio all’aspettativa del clero e sia più adatta a ottenere da questo sensibilizzazione e collaborazione. Penso che le adunanze debbano essere piuttosto frequenti; che in esse i membri debbano sforzarsi di portare il vero pensiero dei confratelli, avendo l’occhio rivolto al bene della Chiesa universale residente nella Chiesa locale.
Quanto alle deliberazioni del Consiglio Presbiterale — se il vescovo crederà opportuno emanarne qualcuna in comunione coi membri, a nome del Presbiterio invece che a solo nome proprio — esse hanno tanta forza obbligante quanta ne ha un decreto vescovile da solo, nulla di più; potranno forse talvolta avere psicologicamente più forza persuasiva. Che al solo vescovo spetti in diocesi il potere legislativo è di diritto divino e non si tocca.
I membri del Consiglio, dispongono solo del « consiglio » o voto consultivo; nel momento in cui lo danno al vescovo e prima di sapere s’egli lo faccia suo, essi non sono ancora considerati insieme al vescovo, in comunione con lui sull’argomento. Il « consiglio » dato è espressione di più o meno numerosi presbiteri, non del Presbiterio, che è comunione di Presbiteri e vescovo insieme.
Il numero dei membri, se si vuole efficiente ed agile il Consiglio, sembra debba essere piuttosto limitato. Mi viene il dubbio, se non convenga — nelle diocesi molto grandi — creare degli organi intermedi tra la « base » di tutti i preti e il vertice. A Milano, per esempio, per l'espletamento del 46° Sinodo in corso, la Diocesi è stata divisa in 37 zone. In ciascuna zona parroci e cooperatori hanno eletto i membri di un « Consiglio di zona ». Dai membri di ciascun « Consiglio di zona » l’Arcivescovo ha scelto il Decano di Zona. L’insieme dei Decani, più alcuni sacerdoti scelti a membri di Consiglio di Zona, altri eletti dall’Arcivescovo e altri eletti dai sacerdoti, formano il Consiglio Sinodale (103).
La gran questione, però, non è il modo di nomina o il numero; è
lo spirito di collaborazione, è l’impegno, sia da parte del vescovo che dei suoi sacerdoti. Questi, dopo il Concilio, devono sentirsi più di prima legati al loro vescovo e responsabili con lui del rinnovamento in diocesi; è vero, infatti, che il vescovo deve precedere» ma è anche vero che dall’attitudine assunta dai sacerdoti dipenderà in gran parte la risposta del vescovo per l’« aggiornamento » conciliare.
Per concludere, riferirò il pensiero di L. Lochet citato da Paolo VI nel discorso di quest’anno ai parroci e quaresimalisti di Roma: « La nostra gioia di essere preti non riposa sopra una migliore definizione del sacerdozio... ma sopra la confidenza totale che noi mettiamo nel Signore, che ci ha chiamati nella nostra debolezza a partecipare al suo ministero. Noi affermiamo con S. Paolo: io so in chi ho riposto la mia fede e sono persuaso ch’egli ha il potere di custodire il deposito che mi ha affidato fino al giorno del suo ritorno » (104).
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(76) Normae ad quctedam exsequenda Ss. Concilii Vaticani II decreta, I, nn. 1-4.
(77) PO, 2 (1245) - Cfr. CD, 34 (667).
(77 bis) CD, 28 (647).
(78) CD, 33 (665-666); ibidem, 35 (670-674).
(79) Normae ad quaedam exsequenda SS. Concila Vaticani II decreta, I, nn. 23-40.
(80) LG, 28 (355); GB, 28 (647-648-649).
(81) CD, 28 (647).
(82) PO, 8 (1267).
(83) CD, 11 (593).
(84) PO, 6 (1257).
(85) PO, 5 (1253).
(86) PO, 7 (1264).
(87) CD. 36 (680).
(88) CD, 28 (645).
(89) CD, 28 (643),
(90) GB, 28 (646)
(91) SC, 45 (79) e 46 (81-82).
(92) AA, 26 (1011).
(93) AG, 30 (1200).
(94) PO, 21 (1313).
(95) PO, 7 (1264) e Normae ad quaedam exsequenda Ss. Concila Vaticani II decreta, I, n. 15/1.
(96) Cfr. G. GIAQUINTA, Alle sorgenti della spiritualità sacerdotale, Roma, 1966 Ed. « Pro sanctitate » p. 227, nota.
(97) Ibidem.
(98) Normae ad quaedam exsequenda Ss. Concila Vaticani II decreta. I, 16.
(99) Ibidem, I, 16/4.
(100) Ibidem, I, 15/1.
(101) Ibidem, I, 16/6.
(102) Ibidem, I, 17/1.
(103) L’Italia, 12-10-1966, p. 8.
(104) A.A.S., marzo 1966, p. 229.