L'allora Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani, in alcune riflessioni sul sacerdote diocesano alla luce del Vaticano II
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9. Prima c’erano due tendenze, e si manifestarono anche in Aula conciliare. Dicevano alcuni. Pur avvicinando gli uomini, il sacerdote deve restare «l’uomo della dimensione verticale» (Congar), tutto prete, solo prete, evangelico « sine glossa », senza confusioni od equivoci, marcando bene il distacco tra « spirituale » e « temporale ». Deve quindi fare dei passi coraggiosi per completare l’abbandono del clima e dei residui di « chrétienté ». Quali sono questi residui?
Il « trionfalismo ». Il sacerdote ha ancora — per esempio — la smania delle « Opere »: Asili, Collegi, Case di Ricovero, Patronati moderni con palestra, campi da giuoco, piscine, colonie. Poteva andare una volta, quando nessuno provvedeva e con poco si poteva fare bella figura. Adesso ci pensano lo Stato, gli Enti intermedi e con dovizia di mezzi; adesso chi fa deve fare in grande e quindi o chiedere continuamente denaro" al popolo o apparire 'foraggiato dai ricchi. Cristo ha pianto sulle rovine di Gerusalemme; piange di nuovo sulle pietre delle grandi Opere costruite dai sacerdoti!
Altro residuo di « chrétienté », il « clericalismo » ossia l’invasione degli ecclesiastici nel campo dei laici. La « politica », per esempio: il sacerdote deve starne lontano. Per essere ed apparire l’uomo di tutti, per salvare l’universalismo e la trascendenza cattolica, per doveroso riguardo alle competenze altrui, per norma di prudenza pastorale.
Terzo residuo, il « paternalismo ». E’ suonata l’ora dì essere semplici sul serio: nelle insegne, nel vestito, nei titoli. Alla Corte di Re Sole i servi si inchinavano perfino al passaggio delie vivande portate ai Sovrano; in quel clima potevano passare baci agii anelli dei vescovi, alle mani dei preti, ai paramenti, ecc.. Adesso i Presidenti di Repubblica vanno vestiti come tutti gii altri; mettiamoci al passo anche noi!
Così i sacerdoti « attenti ai segni dei tempi »; difensori dell’« originalità », sostenitori dello «Schema 14» (55).
Rispondevano altri., in nome dell’esperienza, della riflessione, della complessità delle cose umane, del buon senso e della prudenza.
A meravigliai Ma in teoria. La pratica, la vita son ben altra cosa- in astratto è facile fare distinzioni e separazioni; in concreto succede che la fede cristiana s’incarna talmente nella vita e nei problemi della gente che fede e vita diventano inseparabili.
Religione trascendente!, dite voi. E va bene, ma non evanescente! Trionfalismo, le opere! Andate dunque nelle Missioni, dove la gente è poverissima ed i governi sono; carenti, a vedere! Lasciar allo Stato, ritirarsi! Non è un’abdicazione, non è una comoda evasione? E la carità, che anche le Comunità diocesana e parrocchiale devono avere ed esercitare?
Clericalismo, l’intervento dei sacerdoti nel settore politico-sociale! Come se lo facessero per gusto! Invasione nel terreno laicale! Ma si avanzino, dunque, questi laici preparati e facciano! Se, invece, mancano o sono rari come le mosche bianche? Lo sappiamo: il sacerdote dovrebbe limitarsi ad esporre i principii; i laici dovrebbero adattarli alle circostanze presenti ed attuarli. « Dovrebbe »... « dovrebbero »! Ma spessissimo non succede e succede, invece, che gli operai ci rinfacciano il « non diligamus verbo neque lingua, sed opere et veritate »; ci citano le invettive ai ricchi dei profeti, di S, Basilio, di S. Giovanni Crisostomo. E poi, Pio XI ha fatto bene o male a lodare i vescovi che avevano partecipato alla « Battaglia del grano »? Pio XII e Paolo VI fanno bene o male a raccomandare l'europeismo?
Paternalismo negli abiti, nelle insegne? Ma siamo o non siamo persone sacre?
Tutto questo prima del Concilio, E adesso?
Adesso abbiamo alcuni testi conciliari, che si riferiscono, più o meno direttamente, alla nostra questione. « I vescovi, poi, cui è affidato l’incarico di reggere la Chiesa di Dio, devono insieme coi loro Presbiteri predicare il messaggio di Cristo in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo » (56). « Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano aver pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano piuttosto essi stessi la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero » (57).
E’ necessario che « si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione coi loro pastori » (58).
« La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata a nessun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana » (59).
« Gli Apostoli e i loro successori con i propri collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo Salvatore del mondo, nell’esercizio del loro apostolato si appoggiano sulla potenza di Dio, che molto spesso manifesta la forza del ’ Vangelo nella debolezza dei testimoni. Tutti quelli che si dedicano al ministero della Parola di Dio, bisogna che utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, che, in molti punti, differiscono dai mezzi propri della città terrestre » (60). La Chiesa... « non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni » (61).
Questi testi parrebbero piuttosto favorevoli alla tesi della « pura spiritualità ». Alcuni vigorosi discorsi di Paolo VI (all’Episcopato Italiano 7-12-1965 ad esempio) sembrano nello stesso senso. Ma c’è il discorso all’ONU, dove il Papa ha parlato della pace non con pie esortazioni, ma in termini che toccano problemi politici molto concreti; ci sono i telegrammi di Capodanno ai Capi politici della Russia, della Cina, del Vietnam del Nord: c’è il Radiomessaggio 31-5-1964 ai francesi, in cui loda il desiderio effervescente degli studiosi d’approfondire i problemi religiosi, ma aggiunge che l'approfondimento « talvolta avviene., forse., senza i dovuti riguardi per i valori delle istituzioni cristiane, che richiedono, certo, di essere adattate alle necessità dei nostri tempi, restando ciononostante indispensabili all’irradiamento del Vangelo ». Ad Alberto Cavallari il Papa confidava bensì « Noi ripetiamo continuamente ai nostri preti: non mescolatevi, non chiedete, non bazzicate per sentieri indebiti ». Ma poi soggiungeva « allargando le braccia come per accompagnare una. rassegnazione »: « Ma viviamo sullo stesso suolo e l’intrecciarsi della vita quotidiana spesso contraddice le linee generali. Spesso per la Chiesa è scomodo avere i piedi sulla terra» (62), Il Concilio stesso (63) ammette che « le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione richiede ». Accogliendo la proposta di Mons. Guerry, il Concilio consiglia i Pastori di ricorrere « a pubbliche dichiarazioni, in occasione di qualche speciale avvenimento, fatte per mezzo della stampa e dei vari mezzi di comunicazione sociale» (64). E’ la «pastorale dell’avvenimento », applicazione di principi evangelici a fatti anche sociali e politici. Quelli che si oppongono alla « pura spiritualità », possono — mi pare — trovare qui elementi favorevoli alle loro tesi e precisazioni.
Il mio parere? Lo esprimo, utilizzando un pensiero di Maritain, che diceva: il Cristianesimo è insieme immanente ai mondo e trascendente il mondo. Manifestare l’immanenza tocca specialmente ai laici, che dovrebbero immergersi nelle cose, comportandosi in esse da cristiani. Manifestare la trascendenza tocca specialmente ai sacerdoti, che devono vegliare a che la loro missione sacra non sia asservita a uomini che vogliono sfruttare le cose sante per i loro partiti, le loro iniziative o le loro guerre (65).
Specialmente, dice Maritain. Dunque, se si vuole che sia l’immanenza che la, trascendenza vengano sempre attuate, per supplire i laici che mancano, quando si verifichi grave necessità, avendo eventualmente cura di dar opportune spiegazioni sul movente religioso dell’intervento, non sarà proibito, in qualche caso potrà addirittura essere doveroso
per i sacerdoti intervenire. In ogni caso si cercherà di comprendere e di interpretare bene l’agire dei confratelli che pensano e agiscono diverso da noi!
10. Prima ogni sacerdote era un’isola, aveva il suo compito, il suo posto e basta. Parroco nella tal parrocchia, professore nel tal seminario, cappellano del tal ospedale, lavorava lì e non doveva interessarsi d’altro. I parroci vicini? Facciano come meglio credono. Il vescovo lontano? Mandi i suoi ordini: buoni o cattivi, cercheremo di eseguirli; egli è il capo dell’amministrazione, noi siamo i suoi sottoposti, quasi degli impiegati. Poco si era riflettuto sul legame familiare del Sacerdote con il proprio vescovo e cogli altri sacerdoti; niente s’era detto della comunione dei sacerdoti col Collegio dei vescovi. In tempi più remoti poi, l’isolazionismo individualista era stato ancora peggiore. Pensiamo al Medio-Evo, in cui, date le possibilità di studio e di promozione che allora offriva, la vita clericale era addirittura aggredita da folle di candidati. All’Università di Parigi, ai tempi di S. Tommaso, tutti i 10.000 alunni erano tonsurati (Ami du Clergé, 1966, p. 148). In molte città della Germania il clero, alla vigilia della Riforma, costituiva il 20% della popolazione, senza contare i monasteri (LORTZ, Die Reformation in Deutschland I, Freiburg, 1936, 86, citato da Jungmann). Nel ’400, a Breslavia, c’erano 236 preti altaristi in due sole chiese (J. A. JUNGMANN, Eredità liturgica e attualità pastorale?, Edizioni Paoline, 1962, p. 112). Nel ’700, a Torino, c’era un sacerdote ogni 60 abitanti, a Bologna uno ogni 45 abitanti. A Napoli Giuseppe Bonaparte si acquista fama di persecutore, perché proibisce ai vescovi di ordinare più di cinque sacerdoti per mille abitanti (R. AUBERT, Il Pontificato di Pio IX, 1964, pp. 751-752)! In questo fenomeno ipertrofico si capiscono l’oziosità, il vagabondare, la ricerca affannosa di occupazioni redditizie, talora la miseria materiale e morale di molti sacerdoti. Si capiscono gli abati settecenteschi, che fanno dello spirito nei salotti; gli eruditi, cui il beneficio assicura insieme benessere e piacevoli studi; i preti di campagna che sembrano distinguersi dalla massa dei parrocchiani solo per l’abito; i preti precettori in casa dei nobili, ai quali, più che l’educazione, è affibbiata la sorveglianza sui figli (« L’aio in imbarazzo »!) e che vengono considerati dei semplici dipendenti.
Si aggiunga il « complesso di inferiorità » di fronte al clero regolare, in certi periodi molto più preparato e virtuoso, le cui chiese in città erano affollate, mentre la vita parrocchiale languiva. Nel processo di canonizzazione (1347) di S. Ivo ( quello che era « advocatus et non latro »
e che morì poverissimo nel 1303 ì si cita a lode che visitasse una volta al mese la sua parrocchia di Louannec in Bretagna!
Il Presbyterium — fatte le debite eccezioni — non poteva fiorire nelle sue piene dimensioni in queste condizioni. Tanto più se si pensa alla situazione di parecchi vescovi. Signori temporali occupati in mille faccende, nel Medio-Evo; assenti in buona parte dalle diocesi durante il Rinascimento: preoccupati tanto delle pingui mense e poco della cura d’anime nel '700 («Conte, avete letto la mia pastorale? », chiedeva un vescovo. — «No, Monsignore, e voi?», rispondeva il Conte).
Molto migliori in genere i vescovi dell’800, intraprendenti, zelanti, organizzatori. Alla gente, però, e per l’estrazione diversa (i vescovi per
lo più venivano dalla nobiltà, dalle università o da seminari speciali) e per gli scarsi incontri, che i poveri mezzi di comunicazione rendevano difficili, anch’essi apparivano troppo staccati dal loro parroco. Questi era descritto da Ippolito Taine così: « sentinella fedele nella sua garitta, paziente, attenta alla parola d’ordine, che monta disciplinatamente la guardia solitaria e monotona ». Pure i parroci avevano l’impressione di avere nei vescovi più degli « amministratori » che dei padri, tanto che l’abbé Combelot propose una volta scherzosamente di modificare la formula della consacrazione Episcopale. « Invece di dire: Accipe baculum pastorale, si dica: Accipe calamum administrativum ut possis scribere, scribere, scribere usque in sempiternum et ultra! » (R. AUBERT, o.c., p. 680).
In questi ultimi anni la situazione è migliorata assai: le comunicazioni facilissime moltiplicano gli incontri dei sacerdoti tra loro e col vescovo; i vescovi vengono quasi tutti dai seminari; la stessa odierna esplosione del sociologismo impone uno sforzo comunitario al clero; c’è, poi, il Concilio, col quale, pare, si inaugura per il Presbyterium un periodo di splendore.
Adesso si sente più aria di famiglia.
Ecco, intanto, la famiglia grande, a raggio universale, che raccoglie insieme tutti: sacerdoti, secolari e religiosi, vescovi di tutto il mondo:
I vescovi in un loro modo, i sacerdoti in un altro modo. « Tutti i Presbiteri, assieme ai 'vescovi, partecipano in tal grado dello stesso e unico sacerdozio e ministero di Cristo, che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei Presbiteri con l’Ordine dei Vescovi » (66). In essa « tutti i Presbiteri sono corona spirituale dell’Ordine dei vescovi » (67), con « funzione strettamente vincolata all’Ordine episcopale » (68). Titolo per appartenervi, la ordinazione (69). Legame tra i membri, la comune missione (70). Segno di aggregazione, la partecipazione attiva (non sacramentale come alla conconsacrazione di un vescovo) dei sacerdoti all’ordinazione presbiterale (71). Manifestazione visibile, la concelebrazione, dove vescovo e sacerdoti appaiono, anche visibilmente, ministri dell’unico Sacerdote nell’offerta dell’unico Sacrificio (72). Di questa famiglia il Concilio sembra perfino suggerire il nome: « intima fraternità sacramentale » (non « sacerdotale » come nella traduzione Dehoniana) (73). D’essa, soprattutto, traccia la meravigliosa storia. Il Padre manda nel mondo Cristo con una missione. Cristo manda gli Apostoli e rende, per mezzo di essi, partecipi della Sua missione i vescovi, la cui funzione ministeriale viene trasmessa in grado subordinato ai Presbiteri; i Presbiteri diventano così « cooperatori dell’Ordine episcopale per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo » (74).
Si profilano qui due conseguenze: una per i presbiteri in genere, l’altra circa l’esenzione dei religiosi.
Prima ai sacerdoti si diceva: devi essere incardinato (in perpetuo, se pure in modo rescindibile) in una sola diocesi! Ai seminaristi si diceva: devi prepararti per il servizio pastorale in questa tua diocesi! ed era piuttosto complicato escardinarsi.
Adesso si dice: il dono, che i sacerdoti hanno ricevuto nell’Ordinazione, « non li prepara a una missione limitata e ristretta, bensì ad una vastissima ed universale missione di salvezza... i Presbiteri di quelle diocesi che hanno maggior abbondanza di vocazioni si mostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio ministero, previo il consenso o l’invito del proprio Ordinario, in quelle regioni, missioni o opere che soffrono di scarsezza di clero » (75).
In pratica: 1 ) si introduce la figura del sacerdos addictus, religioso o extradiocesano, addetto non in perpetuo al servizio della diocesi; 2) si prevedono organismi per la distribuzione del clero nel mondo: un
Consilium peculiare a Roma, una Commissio in ogni Conferenza Episcopale; 3) si danno norme, che facilitano il passaggio da una diocesi all'altra; 4) i Seminari sono invitati a preparare gli alunni in vista di un ministero da. esercitarsi eventualmente in altre diocesi o in missione (76).
Si diceva prima: Il nostro Ordine religioso è esente dalla giurisdizione di «questo e di altri vescovi, perché direttamente associato al solo Papa.
Si dovrebbe dire adesso: i sacerdoti del vostro Ordine religioso, anch’essi « cooperatori dell’Ordine episcopale per il retto assolvimento della « missione apostolica » (77). come possono rifiutarsi di dare una mano ai Vescovi, quando ce ne fosse bisogno? a meno che i Vostri Superiori non si decidano a farvi ritornare al sistema antico di monaci-non sacerdoti! L'esenzione dai vescovi è buona e utile, se intesa e attuata come aiuto a camminare più speditamente nella santità e come difesa da ciò che è davvero contrario allo spirito dell’Ordine. Ma attenzione! che lo « spirito dell'Ordine », non divenga « l'interesse, la pubblicità, l’organizzazione, la ”concorrenza” dell'Ordine », a scapito del servizio dovuto! Per ragione dell’ordinazione e del ministero, « tutti i sacerdoti, sia diocesani che religiosi... devono essere considerati provvidenziali cooperatori dell’Ordine episcopale » (77 bis). La questione, al Concilio, ha trovato una specie di intesa: autonomia dei religiosi in ciò che riguarda la loro vita interna: dipendenza dai vescovi per quanto riguarda la pastorale diocesana (78). Le Normae 6-8-1966 accentuano e precisano l’obbligo dei Religiosi di aiutare pastoralmente il Vescovo (79).
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(52) OT, 3 (778).
(53) OT, 11 (795).
(54) OT, 15 (802).
(55) Per ehi non lo sapesse, è chiamato Schema 14 un programma postconciliare di vita per i vescovi, fatto pervenire privatamente negli ultimi giorni del Concilio ai singoli Padri conciliari da un gruppo di vescovi, che auspicavano più povertà nella Chiesa e nei suoi capi.
(56) GS, 43 (1458).
(57) GS, 43 (1455).
(58) GS, 76 (1579).
(59) GS, 76 (1580).
(60) GS, 76 (1582).
(61) GS, 76 (1583).
(62) Corriere della Sera, 3-10-1985.
(63) GS, 76 (1583).
(64) CD, 13 (601).
(65) J. MARITAIN, Questions de conscience. Paris. Desclée de Brouwer, 1938. pp. 215-216.
(66) PO, 7 (1284).
(67) LG, 41 (392).
(68) PO, 2 (1246).
(69) PO, 12 (1282).
(70) LG, 28 (356).
(71) PO, 8 (1267).
(72) PO, 7 (1264).
(73) LG, 28 (356).
(74) PO, 2 (1244-1245).
(75) PO, 10 (1277).
(76) Normae ad quctedam exsequenda Ss. Concilìi Vaticani II decreta, I, nn. 1-4.
(77) PO, 2 (1245) - Cfr. CD, 34 (667).
(77bis) CD, 28 (847).
(78) CD, 33 (665-666); ibidem, 35 (670-674).
(79) Normae ad quaedam exseauenda SS, Concila Vaticani II decreta, I, nn. 23-40.