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Il prete si forma nel ministero – tratto da Settimana 21 novembre 2014 Lorenzo Prezzi

Cei

Al centro dell’Assemblea generale della CEI vi è stato il tema del prete e della sua formazione permanente. La sfida è arrivare ad una nuova consapevolezza dell’unità del presbiterio. Essa si riflette sul seminario e sui processi formativi. Chiesa e clero sono chiamati alla riforma.

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Gli eventi assembleari ecclesiali (in questo caso la 67ª Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, Assisi, 10-13 novembre) possono essere raccontati a partire da elementi marginali, come foto scattate dai telefonini.

Il dibattito interrotto. Il tema generale riguardava il prete e la discussione in assemblea, dopo il lavoro di gruppo, si dilungava con interventi che non accennavano a estinguersi imponendo alla presidenza una chiusura rapida e brusca.

Le celebrazioni liturgiche sono state particolarmente curate. All’avvio di quella celebrata nella basilica inferiore, i celebranti entravano da un corridoio che, dalla navata, si intravvedeva sulla sinistra attraverso una vetrata. Per la diversa illuminazione, il corteo dei ministranti e celebranti assumeva colori e solennità inusuali.

Spezzoni di film. Ogni assemblea generale era introdotta da alcuni frammenti di film con figure di preti impegnati sul versante caritativo, della povertà, della testimonianza ecc. La preghiera di don Camillo nella spoglia chiesetta del suo esilio davanti al crocifisso muto mi è sembrata quella più condivisa.

Processi di voto. Numerose le votazioni, alcune di tipo normativo e finanziario. Ad un certo punto, si trattava di esprimersi sulla proposta di modifica di un testo: il placet significava modificare il testo, il non placet confermarlo. La non immediata percezione ha costretto un sottosegretario a reiterate spiegazioni perché tutti votassero quello che davvero volevano.

Religiosità a bassa intensità

La vivacità del dibattito era motivata dalla preoccupazione e dall’interesse dei vescovi in ordine al tema generale dell’assemblea: “La vita e la formazione permanente dei presbiteri”.1 Le celebrazioni si sono giovate di luoghi suggestivi (come la basilica di S. Maria degli Angeli e quella inferiore di Assisi) e di un servizio musicale e liturgico impeccabile. Esse rappresentano ben più di un doveroso momento di preghiera. Entrano nel processo di discernimento collegiale, soprattutto in occasioni come questa, quando sono accompagnate dai pellegrini e da quel tessuto di devozione orante del popolo che rende evidente il rapporto fra responsabilità pastorale e cammino delle comunità. Il passaggio sullo schermo dell’aula di figure cinematografiche di preti introduce il tema dell’immagine pubblica del clero e della Chiesa. Non sempre la coscienza interna coincide con l’immagine esterna. Anzi, spesso divergono; talora in positivo (quella fuori è più bella di quella dentro), talora in negativo. Il richiamo al dibattito e alle elezioni rimanda alla pratica collegiale che il concilio ha introdotto e che ora è usuale. I responsabili si eleggono, i documenti si approvano, le scelte si discutono. La forma democratica non è estranea o contraddittoria rispetto alla coscienza gerarchica e misterica della Chiesa. Cinquant’anni non sono passati invano.

Per entrare nel tema maggiore del lavoro assembleare, mi giovo del quadro sociologico proposto dal sociologo L. Diotallevi. La sua tesi di fondo è la presenza di mutamenti significativi nella formazione e nell’esercizio del ministero che progressivamente invalidano il modello di clero ereditato dal ’900, senza riuscire a produrne uno nuovo e condiviso. In parallelo al possibile e imminente passaggio da una religiosità di stampo confessionale a una religiosità a «bassa intensità», cioè meno legata alla Chiesa istituzionale e più permeabile a molte e variegate appartenenze. Il patrimonio teologico e culturale del Vaticano II sarebbe in grado di affrontare il boom di religiosità attualmente in corso, ma sembra non trovare interpreti all’altezza.

I segnali dello slittamento sono sia oggettivi sia interni al modello clericale. Cresce il reclutamento non convenzionale, cioè l’entrata nei seminari e nel presbiterio di persone già adulte o comunque non legate alla filiera che, dalle famiglie praticanti, passava per le associazioni cattoliche (Azione cattolica in primis) e per la parrocchia per poi arrivare in seminario. In quest’ambito vanno collocati anche i preti di origine non italiana che ormai sono una parte significativa del clero. È in aumento il grado di dipendenza dall’Istituto sostentamento del clero. Le fonti di sostentamento più legate alle Chiese locali sono in decrescita. Il ricorso all’8 per mille era del 50% nel 1993, mentre nel 2012 è del 65%. Inoltre, la distribuzione del clero e delle parrocchie rispetto alla popolazione indica una cura pastorale che si attarda sulla struttura rurale rispetto a quella cittadina, non solo come resistenza della tradizione, ma anche come scelta per evitare la complessità. 3.200 parrocchie servono 30 milioni di persone, mentre altre 5.300 sono a servizio di 17,5 milioni (le parrocchie sono 26.000).

Vi è un’estrema diversificazione nel retroterra formativo dei seminaristi. Si entrava in seminario con un’idea condivisa di prete. Oggi si entra con un’idea propria, spesso assai vaga, talora inesistente. Il sapere professionale del clero, quello cioè che emerge durante l’esercizio del ministero, non coincide con la preparazione seminaristica. Si privilegia l’interesse biblico, spirituale e pastorale rispetto al dogma, al magistero e alla teologia morale. Il passaggio generazionale darà spazio a una notevole discontinuità, ben più rilevante delle paure più diffuse circa il fondamentalismo e il tradizionalismo. I processi che modificano il profilo istituzionale del clero e il suo decremento quantitativo sono funzionali ad una religiosità «a bassa intensità».

Chiamati alla riforma

L’ottica propria dei pastori – una lettura sapienziale e un discernimento ecclesiale – si è bene espressa nell’Instrumentum laboris, nella sintesi dei lavori di gruppo e nella relazione di Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini e presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata. Nessun catastrofismo e nessun conservatorismo a vantaggio di un investimento sulla riforma della Chiesa. «La riforma della Chiesa è stata la grande e formidabile missione che lo Spirito del Signore ha affidato ai padri del concilio Vaticano II. Non si trattò di un’operazione cosmetica per il popolo di Dio né di un semplice riassetto organizzativo, ma fu un vero “nuovo inizio”, una svolta cruciale per il suo pellegrinaggio nella storia». Si tratta ora di riprendere l’incompiuta profezia del concilio sulle orme delle parole e delle opere di papa Francesco che invita tutte le Chiese a un «deciso processo di discernimento, purificazione, riforma».

Nell’ottica della riforma della Chiesa si coglie il senso della riforma del clero. Il passaggio dalla concezione giuridica a quella sacramentale, la connessione fra sacerdozio ordinato e sacerdozio comune dei fedeli, il superamento della visione sacrale e cultuale hanno consegnato i presbiteri all’identità propria della “carità pastorale”. Essa contiene il rimando a Cristo Pastore (l’ordinazione, il carattere e la configurazione ontologica) entro la cornice ecclesiologica. «L’amore verso Gesù Pastore precede e determina il mandato verso il gregge».

Il passaggio che oggi si percepisce come quello più urgente, in coerenza con il rinnovamento ecclesiale, è una più precisa coscienza del pastore di appartenere al presbiterio. L’unità del presbiterio non è il prodotto di particolari strategie di omologazione o di dinamiche corporative, «ma è il frutto di una genuina spiritualità di comunione, creata dall’unità sacramentale del presbiterio nella Chiesa». La riforma della Chiesa rimanda alla riforma del clero e la riforma del clero si configura oggi come piena riscoperta dell’unità del presbiterio. L’unità riceve il proprio sigillo dalla relazione filiale e fraterna con il vescovo.

Come dal cuore del concilio tridentino nascono per i preti i seminari, dal cuore del Vaticano II nasce quella sorta di “seminario diffuso” che ha preso nome di “formazione permanente”. «Quando si parla di formazione permanente, non si intende un percorso parallelo a quello della quotidiana dedicazione alla Chiesa, ma un cammino condiviso che trovi tempi, modi ed esperienze per rigenerare il vissuto». Per questo è difficile pensare a istituzioni e strutture (anche se vi è convergenza nel chiedere persone deputate alla formazione), «sembra più saggio interrogarsi su quali siano i processi promettenti da avviare». Che così vengono elencati. Il primo è quello di promuovere la cultura e la pratica della formazione permanente ben oltre i consueti schemi delle lezioni frontali e degli aggiornamenti teorici. Si tratta di costruire assieme l’interpretazione del proprio tempo e la missione apostolica conseguente.

Il secondo è quello di smentire l’impressione che il ministero ordinato sia un carico insopportabile, propiziando le condizioni della gioia cristiana con l’esperienza pratica di fraternità presbiterale.

Il terzo processo è quello di perseguire forme di esercizio del ministero che puntino all’essenziale, trasferendo ad altre figure ecclesiali gli eccessivi compiti che oggi gravano sul prete.

Il quarto è quello di investire persone e competenze in ordine alla formazione permanente del clero con un occhio all’articolazione territoriale delle diocesi, con precisi mandati per l’accompagnamento dei singoli e della comunione a cui sono chiamati.

Il quinto è relativo ad una proposta quadro «che definisca i tempi, i modi, i luoghi per questi esercizi e specifichi le proposte per le diverse età, livelli di responsabilità, condizioni personali e locali del clero». «Si tratta, dunque, di avviare processi di formazione permanente dando alta qualità (spirituale) agli incontri ordinari del clero… Curando che siano sempre presenti due elementi indispensabili: condivisione dell’esperienza presbiterale della fede, alla luce della parola di Dio; discernimento di ciò che lo Spirito, nel momento attuale, chiede ai presbiteri. Da più parti emerge l’importanza di incoraggiare la vita fraterna».

Vita comune del clero

Da questo nucleo si rilancia l’attenzione sia al seminario sia alle esperienze pratiche di formazione permanente.

Sui seminari è intervenuto Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno e delegato per i seminari d’Italia. Scontata la riaffermazione del loro valore, assai meno la domanda di educatori a tempo pieno, compreso il direttore spirituale, il sostegno alla formula dei seminari regionali o interdiocesani, l’avvenuta integrazione delle comunità propedeutiche (si prendono cura di quanti, da giovani o da adulti, si avviano alla formazione al ministero), la connessione fra cammino spirituale e maturità umana (con la competenza sull’uno e l’altro fronte), la forte sottolineatura sulla vita comune.

Delle esperienze si è fatto portavoce don Giuseppe Zanon, delegato per il clero della diocesi di Padova. Ha raccontato con grande efficacia l’esperienza di cammini del presbiterio con il vescovo, dell’istituzione di un gruppo dedicato alla formazione permanente (Istituto San Luca), delle acquisizioni maturate: la forza germinale del narrare la propria fede; la ricchezza del condividere; l’attenzione all’insieme (liturgia, lezioni, ambienti, ritmi ecc.); il rapporto con gli organismi diocesani; il cammino con laici e laiche. Un salto di qualità che richiede una struttura leggera: «Un progetto teorico anche semplice, una persona o un’équipe di persone che se ne facciano carico, una sede, una base economica». Sapendo che tutto dipende dalla carità e dalla fede.

La breve cronaca trascura alcuni limiti e molti elementi presenti nell’assemblea CEI: dalla prolusione del presidente alla presentazione della traccia per il convegno ecclesiale di Firenze (su cui torneremo), dalla comunicazione sui casi difficili del clero all’avvio dell’anno della vita consacrata, dall’elezione del vicepresidente (con diversa lettura dentro e fuori l’assemblea) all’ostensione della sindone. Fino alla breve e importante lettera del papa e al messaggio ai presbiteri italiani (cf. a p. 13).

1 L’Assemblea è stata preparata da due seminari (cf. Sett. 21/2013 p. 10; 9/2014 p. 3). Gli atti del primo seminario sono usciti come volume a cura di F. Lambiasi, Fare i preti. Esperienze e prospettive per la formazione permanente, EDB, Bologna 2014. Utili in merito anche i due volumi di A. Torresin e D. Caldirola, I verbi del prete, EDB, Bologna 2012, e I sentimenti del prete, EDB, Bologna 2014. Ambedue raccolgono una serie di articoli pubblicati su Settimana.