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La cura pastorale
Anche se i nostri militari adempiono il loro dovere santo e civile della difesa della vita innocente davanti all’aggressore ingiusto, la loro coscienza è ferita da una esperienza tragica. Per questo vogliamo rivolgere un’attenzione particolare su alcuni aspetti morali, legati alle operazioni militari ed ai loro partecipanti diretti.
- La Sacra Scrittura indica l’atteggiamento particolare di Gesù Cristo verso i militari. Vale la pena ricordare il centurione romano, che desiderava guarire il proprio servo ed aveva una fiducia tale nella forza di Cristo che ha potuto dire: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Mt 8, 8). Oltretutto, il primo tra i pagani a convertirsi è stato il centurione Cornelio e la sua famiglia (cfr. At 10). Quindi la Parola di Dio presenta sempre con rispetto il militare, che nello stesso tempo adempie il proprio servizio per la tutela della pace e la vita innocente. Conservando fedelmente queste e molte altre testimonianze della Sacra Scrittura, la Chiesa condanna le guerre ingiuste, tuttavia non cessa mai di curarsi di quelli che con le armi nelle mani adempiono il servizio a nome dell’autorità legittima e giusta per servire la pace e difendere la vita. Pertanto, qualsiasi dottrina che considera la vocazione al servizio militare inappropriato al Vangelo è infondato.
- La vocazione del militare non contraddice la vocazione del cristiano. Anzi: si può essere un militare ed un santo! San Giovanni Paolo II, Papa, rivolgendosi a suo tempo ai militari riuniti all’udienza, ha notato: “Chi meglio di voi, carissimi militari, può rendere testimonianza circa la violenza e le forze disgregatrici del male presenti nel mondo? (Omelia per il Giubileo dei Militari e delle Forze di Polizia, 19 novembre 2000).
- La Chiesa Cattolica insegna: È legittimo esigere il rispetto per il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non è colpevole di omicidio, anche se è obbligato a provocare un colpo mortale al proprio avversario: “Se uno nel difendere la propria vita usa maggior violenza del necessario, il suo atto è illecito. Se invece reagisce con moderazione, allora la difesa è lecita […]. E non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui”(San Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, 2-2, 64, 7)” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2264).
Pertanto, “la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri” (idem, 2265).
- Ci sono condizioni in cui il ricorso alle armi per la difesa dell’aggressore ingiusto è non solo ammissibile, ma è anche l’unico mezzo possibile (per questo é moralmente giustificato), per fermare il male e non permettere la divulgazione dell’aggressione mortale per molte persone. Qui vale la pena ricordare le condizioni della difesa legittima con la forza militare. Quindi, affinché il ricorso alle armi contro l’aggressore ingiusto sia giustificato è necessario nel contempo: 1) che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; 2) che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rilevati impraticabili o inefficaci; 3) che ci siano fondate condizioni di successo; 4) che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale aspetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2309). In questo caso l’autorità pubblica ha il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. Coloro che si dedicano al servizio della patri nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace (cfr. Gaudium et spes, 79) (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2310).
- Per la guarigione della coscienza è necessaria l’azione di Dio che si manifesta in particolar modo nel sacramento della Riconciliazione. Pertanto, i sacerdoti devono mostrare pazienza nell’ascoltare le confessioni di coloro che hanno partecipato alle operazioni militari, incoraggiando e consolando i militari e tutte le vittime della guerra, indicando la misericordia di Dio come fonte di guarigione delle ferite corporali e spirituali, incoraggiando altresì ad osservare le norme morali anche in mezzo ai terrori della guerra.
- Bisogna ricordare che la vittoria sul campo di battaglia è anticipata dalla vittoria morale e spirituale sul nemico, che si basa sulla coscienza di realizzare un’opera buona – la difesa della pace davanti all’aggressore, sull’approccio umano verso gli esiliati ed i feriti, sull’inaccettabilità di qualsiasi violenza contro la popolazione civile. La santità della vita umana e la dedizione alla sua difesa ovunque è possibile – questa è la prima norma e la più importante. Persino le condizioni più difficili di guerra devono diventare un’occasione per manifestare umanità e slancio morale, anziché provocare la liberazione di istinti cechi di vendetta e odio. Che le parole di San Paolo Apostolo siano per tutti un avvertimento e una direzione: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male”(Rm 12, 21).
Affidiamo la nostra patria, i governanti del nostro Paese, i nostri militari, i sacerdoti cappellani e tutto il popolo ucraino che soffre in diversi modi alla cura potente dei santi e dei giusti della terra ucraina, e in particolare l’intercessione della Santa Madre di Dio, invocandola dal profondo dell’anima: “Non abbiamo altro aiuto, non abbiamo altra speranza che te, o Purissima Vergine! Aiutaci, in te speriamo e ti lodiamo, poiché siamo tuoi servi, affinché non rimaniamo delusi”.
Che la benedizione del Signore sia su di voi!
A nome del Sinodo dei Vescovi
l’Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halych
+ SVYATOSLAV