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Ai sacerdoti circa la pastorale in condizioni di guerra

Major-Archbishop of Kyiv-Halych
L'Arcivescovo Maggiore di Kyiv-Halych

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La mobilizzazione e le questioni ad essa legate

Innanzitutto, rivolgo un’attenzione particolare sul valore e l’importanza del servizio da cappellano dei nostri sacerdoti: che siano in prima linea o negli ospedali militari. Esprimiamo un profondo riconoscimento e gratitudine sincera a tutti i nostri sacerdoti, diaconi e religiosi per l’esempio di coraggio ed il sacrificio pastorale, che essi manifestano nelle difficili condizioni attuali. Nel contempo, ricordiamo che la vocazione del consacrato è esclusivamente nel campo spirituale e religioso, è per questo che il sacerdote non può essere un partecipante attivo alle operazioni militari, non può far uso delle armi, ricordando che la nostra arma è innanzitutto spirituale: “… la verità, la giustizia, lo zelo per propagare il Vangelo della pace, salda come lo scudo della fede e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio” (cfr. Ef 6, 13-17). Questa “arma di Dio” è rafforzata dalla preghiera incessante e costante, con opere di penitenza ed il digiuno, è capace di superare la causa principale di qualsiasi conflitto: il peccato dell’uomo. Pertanto essa, nelle mani del religioso, non è meno operante per poter raggiungere all’aspirata vittoria che l’arma nelle mani dei militari.

La difesa della patria – è un diritto e un dovere di ogni cittadino cosciente e responsabile. Mentre la definizione circa la convenienza della mobilizzazione, la sua proclamazione e la sicurezza di coloro che sono richiamati alle armi, necessaria a tutti per la difesa della patria – è di competenza dello Stato. Nel tempo dello svolgimento delle operazioni di mobilizzazione nel paese bisogna ricordare quanto segue:

-         I sacerdoti non possono essere uno strumento per svolgere la mobilizzazione. Nel contempo, essi non osino esortare ad evitarla, persino indirettamente. Oltretutto, i sacerdoti e la Chiesa in generale, circondano con la preghiera incessante e con opere concrete i nostri militari, le vittime dell’aggressione, si prendono cura dei feriti, delle famiglie dei deceduti, ecc.

-         La Chiesa, riconoscendo il diritto ed il dovere del popolo di difendere la propria terra, non desidera trattenere le funzioni dello Stato o i suoi enti della difesa per quanto riguarda l’organizzazione e lo svolgimento di questa difesa. Al contrario, noi appoggiamo coloro che sono richiamati alle armi, le loro famiglie con la preghiera ed esprimiamo gratitudine con tutto il popolo di Dio per quei nostri concittadini che sono disposti a dare la propria vita per i loro amici, secondo il comandamento di Cristo (cfr. Gv 15, 13). La Chiesa innalza quotidianamente le proprie preghiere per “l’autorità e tutto l’esercito militare”, e nelle condizioni drammatiche attuali questa preghiera è divenuta ancor più zelante e insistente.

-         Insieme alla preghiera, la Chiesa organizza e pratica le opere di misericordia verso tutti coloro che difendono la nostra Patria e chi è stato vittima della disgrazia militare. Esprimendo sincera gratitudine a tutti i benefattori conosciuti e sconosciuti, esortiamo con insistenza il nostro clero, i religiosi ed i laici a continuare a manifestare una solidarietà operante verso le vittime e, secondo la possibilità, contribuire a diminuire le sofferenze dei nostri connazionali attraverso opere di misericordia. È necessario sostenere in particolare i feriti, le persone che sono state obbligate a trasferirsi, i familiari dei deceduti, soprattutto le madri, le mogli ed i figli, gli anziani, ecc.

-         I sacerdoti, come annunciatori della pace e del bene, devono avere un atteggiamento molto responsabile per quanto riguarda le esortazioni che rivolgono ai propri fedeli dagli amboni tradizionali e con la mediazione dei mezzi moderni come le reti sociali. Non permetteremo che un sacerdote, cedendo ai propri sentimenti umani disordinati e torbidi, che proclami l’intolleranza, la sfiducia, l’aggressione e l’odio contro chiunque. Cristo ci dice di amare persino i nemici (cfr. Mt 5, 44), e la fedeltà a questo comandamento mostra quanto noi siamo suoi discepoli, quanto crediamo veramente nella potenza dell’amore di Dio, che è più forte dell’odio e della morte stessa. Qui è opportuno ricordare le parole del grande Metropolita Andriy, il quale in condizioni non meno drammatiche all’inizio della II Guerra Mondiale ha scritto al suo clero: “L’odio soltanto distrugge – non ha mai costruito niente e non costruirà mai. Tuttavia, nel nostro lavoro, dobbiamo guardarci da tutto ciò che potrebbe condurre verso quell’odio, e difendere la gente come fossero davanti a veri nemici, davanti a persone che lottano con odio e divulgano l’odio. La nostra bandiera è la bandiera dell’amore. Essa non entra mai in alleanza con la bandiera di qualsiasi odio. L’amore cristiano persino quando difende davanti a un vero male del nemico non può cessare di essere amore, non può né avvicinarsi, né diventare simile all’odio. L’amore umano, che abbraccia tutti gli uomini senza eccezioni, sarà per sempre una caratteristica giusta della cristianità, ogni lavoro di un autentico cristiano deve esserne caratterizzato (Lettera pastorale al clero “Sulla questione sociale”).

-         I sacerdoti devono essere estremamente attenti anche ad esprimersi per quanto riguarda le operazioni militari e la mobilizzazione. Bisogna studiare più profondamente la dottrina sociale della Chiesa Cattolica, in particolare i criteri del comportamento morale dei cristiani cattolici e del clero in condizioni di guerra, in modo da non smarrirci noi stessi e non portare gli altri su vie traverse morali e spirituali.

-         Sottolineiamo, che i sacerdoti che si mettono in viaggio al fine di adempiere il servizio da cappellano nella zona delle operazioni militari, devono farlo con il permesso esplicito e la benedizione del proprio Ordinario, nonché osservare con precisione le indicazioni e le norme, elaborate dal Dipartimento per la pastorale delle strutture militari in collaborazione con il Ministero della Difesa d’Ucraina.

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