Dopo sei giorni potrebbe certamente rimandare al suo annuncio della passione e della resurrezione (Mc 31,33). Ma siccome nello stesso annuncio della passione lui dice che “dopo tre giorni resusciterà” (8,31) forse il conteggio dei giorni vuol essere ancora più preciso che semplicemente rimandare al suo annuncio della Pasqua. Infatti nel Vangelo di Marco si trova tre volte l’espressione dopo tre giorni. E sempre in riferimento alla resurrezione. Ma nel capitolo 14,1 troviamo l’espressione “dopo due giorni”, che indica proprio il tempo che passa tra la decisione di uccidere Cristo e la sua morte. Il giorno della morte viene isolato come il giorno (Mc 15,33-37), dunque abbiamo due giorni, più uno e più tre. Sei giorni che abbracciano tutto il mistero pasquale di Cristo. E dopo questi giorni Cristo appare come nella Trasfigurazione, avvolto nella luce. Il sacrificio di sé nell’amore è il passaggio da risorto al Padre. Infatti alla fine gli apostoli non vedono più né Elia né Mosè ma solo Cristo in cui si compiono la legge e i profeti. È Lui solo che alla fine sarà tutto in tutti.
Il termine metamorfosis infatti vuol dire “al di là della forma” e non semplicemente cambiare la forma. Vuol dire far vedere la verità della persona che non è circoscritta alla forma in cui viene vista, ma che sta nel mistero che attira al di là dell’immediata apparenza. In questi sei giorni, cioè dalla decisione che deve morire, la sua passione, l’umiliante crocifissione e la morte, la sepoltura fanno vedere un netto fallimento. Se poi si sottolinea che Lui dovrebbe essere il Salvatore del popolo e il Messia atteso da generazioni, non è solo un fallimento suo, ma il crollo delle attese e delle speranze di tutti. Invece Cristo portando i discepoli sul monte vuole cambiare nei loro occhi il punto di vista, la prospettiva. Non si tratta di guardare con gli occhi umani ma di vedere l’umanità del Figlio con gli occhi del Padre. Chi vede Cristo solo con gli occhi umani, anche se con un’immaginazione dell’attesa del Messia attraverso le generazioni, non riesce a leggere il dono che Dio Padre fa nel suo Figlio all’umanità. Si tratta di un superamento della prospettiva che parte dall’uomo, cioè dalla cosiddetta terza dimensione e di accogliere la prospettiva che viene dall’aldilà a qua. Questa non è una prospettiva semplicemente rovesciata, ma è una prospettiva agapica, che ragiona secondo il dono di sé. La prospettiva dei desideri e delle attese è invece una prospettiva che viene orientata a sé, cioè al soggetto che vuole qualcosa per sé, la salvezza per se stesso. Viene così immediatamente messo a fuoco l’aspetto preparatorio con il quale Cristo inizia gli Apostoli a leggere la logica comunionale, filiale, con la quale anche l’umanità verrà nel Figlio vissuta in modo di Dio. Infatti dopo la Trasfigurazione, nei capitoli successivi, l’evangelista propone in modo radicale il rovesciamento della logica. Il Messia non è uno che è venuto a soddisfare le necessità immediate della natura umana precaria, ferita, che cerca di salvarsi ma è venuto a donare agli uomini un modo di vivere la propria natura umana, cioè la loro umanità in modo filiale.
Dunque, in un certo senso bisogna dar ragione al grande Gregorio Palamas che con alcuni altri Padri sostiene che il miracolo è avvenuto nello sguardo degli Apostoli che finalmente potevano vedere come è l’umanità quando è vissuta dal Figlio. Sono loro che sono destinatari della trasfigurazione, che riescono a vedere che se nella valle chi si dona e chi si lascia fare è perdente, sul monte è quell’Agnello trionfante che nell’Apocalisse (5,6) Giovanni descriverà come l’unica fonte di luce della Gerusalemme celeste. Infatti il Salmo 104,2 descrive il Signore “avvolto di luce come di un manto”. Il colore bianco che nessun uomo sulla terra è capace di produrre corrisponde al colore della gloria di Dio nell’Apocalisse. L’Apocalisse che è il libro dei colori rappresenta il bianco come il colore della manifestazione di Dio nel compimento della storia (20,11;14,14). Il colore bianco del trono di Dio, cioè il suo potere e la sua gloria riveste quelli che nella storia hanno agito e vissuto secondo la logica filiale, relazionale, agapica, cioè secondo la prospettiva dal monte. “Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono? … Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario. E Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro” (7, 13-15).
Da questo è chiaro che il protagonista della vita dell’uomo non è l’uomo ma è la relazione, è l’amore che trasfigura la nostra umanità. Cristo non si è trasfigurato ma fu trasfigurato. Non si tratta di plasmare sé stessi secondo una forma vincente del trend del momento ma di lasciarsi amare da Colui il cui sangue rende la nostra umanità bianca, cioè manifestazione della gloria di Dio, del suo amore, luogo della sua stessa presenza e rivelazione. Quando essendo amati si ama, la nostra umanità si trasfigura e diventa teofanica.
P. Marko Ivan Rupnik