Giovanni Battista prepara lo scenario per l’ingresso del Messia. Al Giordano, con una forte predicazione, evidenzia il peccato in cui il popolo si riconosce e di cui si vuole liberare, per entrare in una vita nuova. Perciò Giovanni fa passare il fiume al popolo, proprio come Giosuè lo aveva fatto passare attraverso il Giordano per l’ingresso nella Terra promessa. È interessante che il nome Giosuè abbia la stessa radice del nome di Gesù, la nuova guida che porterà il popolo alla vera liberazione. Solo che con Gesù avviene una radicale novità. Giovanni vede venire Cristo verso di lui tra i peccatori, il Figlio di Dio si è messo in fila tra i peccatori. Dunque “Dio salva”, Gesù, il Messia, si è messo dalla parte dei peccatori.
Commentando questo brano, Giovanni Crisostomo dice che la legge condanna il peccatore, ma Dio, messosi tra i peccatori, è venuto per riscattarli dalla legge. La prima grande cosa che spiritualmente viene sottolineata è che nella miseria umana, che Giovanni raccoglie come scenografia dell’ingresso del Messia, Gesù si presenta come colui che ha assunto questa realtà drammatica dell’uomo, proprio come la lettera agli Ebrei sottolinea che si è fatto solidale in tutto eccetto il peccato. Che è stato provato in tutto come ogni uomo. E questo gli è stato possibile perché era senza peccato. Perché il peccato divide. Se lui avesse peccato non potrebbe mai essere totalmente unito alla discendenza di Adamo, cioè all’umanità, e assumere il drammatico destino dell’uomo peccatore segnato dalla morte.
L’iconografia fa vedere Cristo battezzato nelle acque del Giordano, o nudo, proprio per sottolineare l’identificazione con Adamo. Cristo è mandato dal Padre per trovare Adamo. E Adamo dopo il peccato si è scoperto nudo, cioè vulnerabile, cioè mortale. Cristo per trovare Adamo morto deve percorrere la strada di identificazione con questo Adamo. Giacomo di Saragozza insegna che Cristo depone la sua veste di gloria nelle acque del Giordano, affinché quando verrà Adamo si potrà rivestire nel battesimo della luce e della gloria che con il peccato ha perduto. L’altro modulo iconografico è Cristo immerso nelle acque del Giordano, vestito succintamente, come lo troveremo sulla croce, a sottolineare che si è identificato con Adamo, morto offrendo se stesso alla morte. La scena del battesimo diventa così immagine del compimento pasquale di Cristo, tanto è vero che Matteo sottolinea che è salito dalle acque. E siccome le acque sono nei testi sapienziali immagine del male, lui sale da queste acque vittorioso, immagine del risorto. L’episodio battesimale con il quale si apre il vangelo dell’attività pubblica di Cristo ha indubbiamente la sua chiave di lettura nel mistero pasquale.
La tradizione amava distinguere i due modi di dire “battezzare”: il lavacro, come battezzava Giovanni, lavando l’uomo che ha ammesso che da solo non può vivere secondo Dio e che non può compiere ciò che la legge chiede perché sempre gli mancherà qualcosa. La legge, come dice san Paolo, sempre gli ricorderà che è morto e non corrisponde. L’altro termine per battezzare è quello di Cristo che ci battezza in Spirito Santo: non è un lavacro ma un imbeversi, un impregnarsi dello Spirito Santo, cioè della vita di Dio, della vita del Figlio. Il che vuol dire diventare vivificati della stessa vita del Figlio. La mia vita allora non è più un conquistare, ma un manifestare il dono ricevuto. Tanto è vero che Matteo dice che quando Gesù sale dalle acque si aprono per lui i cieli. Questo ci ricorda la preghiera di Isaia “Oh se si aprissero i cieli e tu scendessi”. Ecco lui è sceso, non come un Dio terribile, ma come uno che si è reso vicino fino in fondo all’uomo reale, segnato dalla sofferenza, dalla morte perché segnato dal peccato. Per dirci che ogni nostra situazione può essere aperta a Lui e che noi con il battesimo veniamo “riempiti” della sua vita.
P. Marko Ivan Rupnik