XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 11,25-30

Congregatio pro Clericis

Questo brano si trova dopo che Cristo comincia ad assaggiare l’insuccesso della sua missione, comincia a vedere sempre più chiaro un certo rifiuto, sempre più forte sia verso di Lui come persona, sia verso  ciò che dice.

Ed è curioso che il rifiuto arrivi proprio da quelli più zelanti, scribi e farisei, quelli dai quali avrebbe potuto sperare un’accoglienza. Lui non inizia però una lotta con loro, lui si rivolge al Padre, entra in dialogo con Lui perché è il Padre che gli dà la conoscenza, gli svela qualcosa. E per questo Cristo rende lode al Padre. Anzi, la parola usata non è letteralmente rendere lode quanto piuttosto confessare. Un’omelia di s.  Agostino sottolinea a partire da questo passo che evidentemente non si confessano solo i peccati, perché Cristo non poteva confessare i peccati, Lui non aveva peccato. Questo confessare lo ritroviamo in tanti altri passi sempre tradotto con lodare, vedi ad esempio il Salmo 144, ma di per sé  il “Ti lodino tutte le tue opere” è invece “Ti confessino tutte le tue opere”. Questa confessione che Cristo fa rispondendo al Padre è una confessione della sua adesione. Ed è l’adesione a ciò che qui è tradotto con benevolenza, ma che più esattamente dovrebbe essere tradotto con beneplacito, modo ebraico di dire: ‘Davanti a Te  si compia la tua volontà’, ‘Ciò che piace a te si compia’.

Cioè Cristo confessa l’adesione alla volontà del Padre che è una volontà diversa da come lui pensava, credendo che proprio quelli che sono preparati capiranno.  Il Padre gli rivela che è Lui a fare un dono a quelli che il dono ricevono. Non dà una conoscenza a quelli che possono conoscere e che conoscono, a quelli si nasconde: la volontà del Padre è che avvenga un dono all’umanità e quelli che sono in grado di accogliere il dono, quelli conosceranno. Sono i piccoli, i bambini, quelli che non erano importanti, quelli che erano indifesi, esposti. Alcuni dicono che Cristo stesso si percepisce così e lo spiegano a partire dal modo in cui dice Abba’ che solo qui e nel Getsemani è detto in questo modo, come bambino che si rivolge al padre sapendo che solo lui è la sua difesa. Ed è dal Padre che Lui riceve la rivelazione. Isaia ci aiuta a capire che i sapienti e i dotti sono quelli che giudicano tutto e legano tutto a partire da ciò che loro sanno. Che la loro lettura della fede, dell’opera di Dio è la loro stessa intelligenza, ciò che loro hanno imparato. E per questo a loro non si rivelerà, perché loro non stanno accogliendo, loro stanno giudicando e valutando e considerando. Questa è la loro forza e a partire da qui tutto il tempo stanno provando Cristo, lo mettono alla prova.

 Mentre gli altri non hanno nessun appoggio. Tanto è vero che quando dice: “Guardate a me”, dice due parole che in ebraico erano una sola: anawim. Erano quelli che camminavano curvi: i poveri, gli schiavi, i servi, curvi per il giogo. E Cristo vede se stesso così. ‘Venite da me che sono così: curvo, pronto per il giogo’. Ed è bello perché il giogo è doppio. Allora lo porta il Padre e il Figlio. E poi lo portiamo noi con il Figlio. È nella relazione che si risolve, non è da solo, è nella comunione.

Perché la fede è un’accoglienza e non una conquista, è  essere in grado di giudicare le cose che succedono, la storia, non da soli con ciò che siamo in grado di capire, ma in un profondo dialogo con Dio, al quale noi confessiamo la nostra adesione a priori a ciò che Lui ha preparato, a ciò che è il suo disegno.

 

P. Marko Ivan Rupnik