Il Vangelo di Giovanni, nel cammino delle letture dell’Anno A ci fa percorrere un itinerario catecumenale fino al Battesimo del Sabato Santo. Il brano di oggi è un po’ una sintesi di questo cammino, nelle domande che vengono fatte al cieco nato, dalla guarigione fino al suo affidarsi al Signore.
La prima questione che si pongono i discepoli è: di chi è la colpa? Una malattia così grave deve essere certamente la punizione per un peccato gravissimo. Entra immediatamente un ragionamento tipicamente umano che indaga morbosamente sul passato o fantastica sul futuro ma non a partire dall’annuncio del Regno, non a partire da quella novità di vita che Cristo ha portato. Ma la questione non è la colpa, ma che si manifesti l’opera di Dio in lui (cf Gv 9,3). Questo cambia la prospettiva, l’uomo tale e quale è, cioè peccatore, è il luogo dove si manifesterà Dio, dove si manifesterà la sua opera, la sua redenzione. Guardare a se stessi come luogo dove si manifesta l’opera di Dio ti pone immediatamente nella prospettiva della storia come storia di salvezza.
Quando Cristo sputa a terra sta compiendo una creazione nuova. Nel mondo semitico la saliva è la condensa del respiro, l’uomo fu creato dalla terra e dal soffio. Adesso Cristo fa la creazione dell’uomo: prende la terra e la condensa del soffio. E manda il ragazzo alla piscina di Siloe, la piscina posta fuori delle mura dove gli Ebrei battezzavano i proseliti, cioè i pagani. Cristo fa vedere che questo ebreo è come un pagano. È l’uomo che nasce da carne, e ciò che è carne è carne. Ma Siloe significa “Inviato” e questo è lo Spirito. Lì, lavandosi, incontrerà lo Spirito, nascerà dallo Spirito (cf Gv 3,5-6)
Prima è stato carne, dopo è diventato uomo secondo Dio. Cioè la terra, il creato, e lo Spirito, il Soffio. Ma lo Spirito non possiamo darcelo da soli, dobbiamo riceverlo. E siamo sulla scia dell’incontro di domenica scorsa con la samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio” (Gv 4,10).
Ma quella non sapeva, e il cieco nato non sa come è il mondo con la luce; tuttavia, egli accetta, accoglie e va. E, infatti, già nel Prologo Giovanni dice: “A quelli che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).
Questo ragazzo diventerà figlio perché riceverà lo Spirito. Quando torna e ci vede, mentre Cristo sparisce dalla scena, la gente continua a farsi domande inutili, a giudicare secondo ciò che era, secondo la carne. Ma inutile chiedersi come sia potuto accadere e da dove …. Bene dirà Paolo: “noi non conosciamo più nessuno secondo la carne” (2Cor 5,16).
L’interrogatorio delle autorità religiose rivela che, con la scusa del sabato, non vogliono riconoscere l’opera di Cristo. Loro interpretano le cose di fronte ad una idea, di fronte a una loro visione, mentre il cieco interpreta l’evento che è accaduto di fronte a quell’uomo che si chiama Gesù. Si capisce la storia in chiave di una Persona che è Gesù Cristo, Persona divino-umana, e non a partire da una ideologia, qualsiasi essa sia.
L’ultima questione è aperta dai genitori che preferiscono avere un figlio cieco e stare in pace piuttosto che un figlio libero, nuovo, vero uomo, carne e spirito. Domina la paura e chiudono la questione rimandando a lui le risposte.
Ma la vera domanda, l’unica da porsi è “cosa significa”. Cosa significa che prima ero cieco e ora ci vedo. Con questa domanda il cieco arriva così lontano da riconoscere il Messia, che è Colui che gli parla, letteralmente colui per il quale lui ora può vedere, perché gli ha dato la vista (Gv 9, 36-37). È il passaggio dall’ascolto alla visione. Il passaggio dall’uomo fatto di carne all’uomo che in carne e spirito è capace di fidarsi dell’altro, di relazionarsi con l’altro e leggere la storia come “storia della salvezza”, non come storia di inganno e di sospetto.
P. Marko Ivan Rupnik