XXIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Es 17, 8-13; Sal 120; 2 Tm 3, 14 - 4, 2; Lc 18, 1-8.

Congregatio pro Clericis

 

 

C`è un gemito segreto del cuore

che non è avvertito da alcuno.

Sant’Agostino

 

 

Il silenzio di Dio

Gli eventi drammatici del nostro tempo ci riportano, come credenti, inevitabilmente davanti a una domanda imbarazzante: perché Dio non risponde alle nostre preghiere? È la domanda che si leva sempre più sconfortata davanti al dolore innocente, davanti alla sofferenza, davanti al grande interrogativo del male. Dio resta in silenzio. E così, proprio come accadeva a Mosè, pian piano le nostre mani si stancano, non riusciamo più a tenerle sollevate per supplicare il cuore di Dio (Es 17,12). Ci assale il timore che Dio ci abbia dimenticati, che ci abbia voltato le spalle, anzi ci sembra che se ne sia proprio andato e che ci abbia lasciato soli in questo mare di dolore.

 

La rabbia

Immagino che siano stati questi i sentimenti della vedova di cui parla Gesù nella parabola raccontata nel Vangelo di Luca (Lc 18,1-8). Davanti all’indifferenza di un giudice, Gesù ci invita a pregare sempre, senza stancarci, anzi, come suggerisce più precisamente il termine greco, senza incattivirci. Sì, perché davanti a questo silenzio, molte volte rischiamo di indurire il nostro cuore: il dolore si trasforma in rabbia, cominciamo a odiare, contribuendo così anche noi ad accrescere la spirale del male.

 

Senza punti di riferimento

La condizione di una vedova, in particolare nell’antico Israele, è estremamente penosa. Anche per questo, sia la prassi che la legge cercavano di preservare queste donne dalle vessazioni e dai soprusi di cui facilmente diventavano vittime. Una vedova non ha nessuno che la difenda, è l’immagine di chi non ha punti di riferimento, è il simbolo di una solitudine difficile. Non è strano quindi che questa donna cerchi giustizia, cerca cioè il suo diritto, il diritto di essere riconosciuta.

 

Sia fatta la tua volontà

Nel linguaggio biblico la giustizia è l’ordine pensato e voluto da Dio. Chiedere giustizia non esprime quindi un desiderio soggettivo, ma la richiesta che le cose siano rimesse nel modo in cui Dio le ha pensate. Non sempre il contenuto della nostra preghiera è la giustizia. In fondo, questa donna prega come Gesù ha insegnato: «sia fatta la volontà di Dio!» (Mt 6,10).

Questa vedova è anche probabilmente l’immagine della comunità a cui Luca si rivolge. Una comunità che vive un tempo di persecuzione e di attesa, una comunità che si vede in pericolo e che ha paura di rimanere sola e non ascoltata. È una comunità che si sente vedova, perché ha l’impressione che il Signore non sia più presente. Anche questa comunità è sollecitata a non stancarsi di pregare, è chiamata a non smettere di gridare affinché la volontà di Dio si compia.

 

False immagini di Dio

Quando non ci sentiamo ascoltati, quando il male sembra trionfare, quando la nostra preghiera sembra inutile, anche l’immagine di Dio si trasforma. Facciamo fatica a credere che Dio ci voglia ancora bene. Il volto di quel giudice impietoso, che si mostra indifferente davanti alla preghiera di questa vedova, sembra rappresentare le false immagini di Dio che spesso si annidano nel nostro cuore.

 

La preghiera nell’attesa

Il tempo dell’attesa è il momento in cui emerge il nostro desiderio, prendiamo maggiormente consapevolezza di quello che vogliamo, siamo confrontati con le nostre motivazioni, ci rendiamo conto di quanto abbiamo veramente a cuore la giustizia. Chi si stanca subito, probabilmente non è profondamente motivato. Forse per questo motivo, l’evangelista Luca fa coincidere la sua piccola apocalisse, il discorso cioè sugli ultimi tempi, con una meditazione sulla preghiera. Il tempo dell’attesa, della paura, il tempo del pericolo può essere riempito solo dalla preghiera autentica. La preghiera fa emergere infatti il nostro desiderio autentico. La preghiera ci insegna la gratuità del tempo. Non c’è un frutto immediato, quel tempo sembra sprecato, non ne vediamo immediatamente l’efficacia, e proprio per questo impariamo a stare nella pazienza del seme sotto la neve. La preghiera ci permette di ridare il primato a Dio, è il tempo della fiducia incondizionata, è il tempo in cui gettiamo in lui ogni nostra preoccupazione. Anche per questo i monaci ritornano continuamente, durante il giorno, alla loro preghiera, proprio per restituire continuamente a Dio il primato nella loro vita.

 

La fatica discreta di Dio

Non sappiamo quanto tempo ha dovuto attendere la vedova che chiedeva giustizia. Luca usa un’espressione che lascia nell’indeterminatezza: «per un certo tempo», ma Gesù assicura che Dio, invece, fa giustizia prontamente. Occorre credere quindi che mentre siamo nel silenzio e ci sembra di non essere ascoltati, Dio sta invece già lavorando per noi. A noi interessa soprattutto essere ascoltati, ma la parola di Gesù sposta l’attenzione su un altro aspetto: nell’attesa, saremo capaci di restare fedeli? Questa comunità, che non si sente ascoltata, sarà capace di aspettare lo sposo? Riusciremo a non diventare cattivi nel tempo in cui ci sembra di non avere risposta? Il tempo dell’attesa, dunque, ci fa venir fuori per quello che siamo. È un tempo di purificazione e di verità. Un tempo prezioso che non possiamo sprecare.

 

Leggersi dentro

- Come reagisco quando non mi sento ascoltato da Dio?

- Quale immagine di Dio emerge nella mia preghiera?

 

P. Gaetano Piccolo S.I.

Compagnia di Gesù (Societas Iesu)