XX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Ger 38,4-6.8-10; Sal.39; Eb 12, 1-4; Lc 12, 49-57.

Congregatio pro Clericis

 

Portare il fuoco

Se ti capita di entrare nella Chiesa di Sant’Ignazio a Roma, alza la testa e cerca il punto di vista giusto da cui guardare. Il soffitto è scomparso, vedrai le finestre che ti fanno scorgere direttamente il cielo: non c’è più ostacolo o barriera. Ma vedrai anche tante piccole fiammelle. È il fuoco della Parola di Dio che Ignazio chiedeva ai suoi figli, i gesuiti, di portare nel mondo. Negli angoli della volta, infatti, sono raffigurate quattro donne, che rappresentano i quattro continenti, quelli conosciuti all’epoca, le terre in cui portare il fuoco. E infatti il dipinto della volta è la trasposizione del versetto del Vangelo di Luca che corre intorno alle pareti: «Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur», sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e che cosa voglio se non che sia già acceso (Lc 12,49).

 

Un fuoco che trasforma

Il fuoco è un simbolo antico: è ciò che purifica e trasforma. Nella volta, Ignazio è dipinto con un abito nero, ma andando più avanti, nell’abside, Ignazio indossa un abito bianco: lo stesso fondatore della Compagnia di Gesù aveva compiuto, nella sua vita, un cammino di purificazione. Il fuoco che portiamo è fiamma che trasforma innanzitutto noi stessi. Quale parola puoi portare agli altri, se prima tu stesso non ti lasci trasformare da essa?

 

Un fuoco che accende altri fuochi

Sebbene il mondo si sia ampliato e abbiamo persino scoperto un continente in più, potrebbe sembrare che noi cristiani non abbiamo più nulla da portare. Siamo spenti. Abbiamo smarrito il fuoco del desiderio che può accendere altri fuochi, come diceva sant’Alberto Hurtado. Tutt’al più accendiamo piccoli fuochi per scaldare noi stessi. La torcia che corre e attraversa i continenti è rimasta un simbolo retorico dei giochi olimpici, di cui nessuno si domanda più quale sia il significato più profondo. Il fuoco si è spento perché non abbiamo più un motivo per cui ardere.

 

Luce nella crisi

Nel Vangelo di Luca il fuoco è anche la luce da tenere accesa nei tempi di crisi. Il testo ci presenta infatti uno scenario di divisione e di conflitto. È proprio quello il tempo in cui la luce è più necessaria, il tempo in cui attendere con le lanterne accese. Nel tempo di crisi infatti veniamo fuori per quello che siamo, è il tempo in cui non riusciamo più a custodire e trattenere quello che abbiamo seminato nel cuore, ciascuno si rivela per quello che è.

 

Fuoco di verità

Ecco perché la pace non è sincretismo o annullamento delle differenze. La pace comincia dalla verità. Il fuoco acceso mostra i nostri veri volti, fa vedere dove siamo, le posizioni che abbiamo assunto davanti alle cose. Il fuoco distingue, porta chiarezza. È da lì, dalla luce, dalla verità dei nostri volti che possiamo ricominciare a fare pace. Nel buio della notte, dove tutto è oscuro, dove tutto si confonde, non ci può essere pace, ma solo ambiguità e retorica.

Pace e fuoco vanno tenuti insieme. La luce del fuoco permette di distinguere il grano dalla zizzania. Aiuta a mettere ordine e prendere decisioni. La pace comincia da questa chiarezza. La divisione che Gesù porta non è il conflitto, ma la verità. Non ci può essere verità senza distinzione. È la divisione dell’ordine, la divisione che mette ordine, quella che precede ogni decisione: occorre distinguere per unire, diceva J. Maritain.

La nostra cultura è afferrata dalla tentazione del sincretismo, dalla banalità dell’uguale, dal politically correct che evita di prendere posizioni, dalla paura di esporsi. Ed è proprio così che si lasciano covare i conflitti. Prendere posizione costa, ma solo così si costruisce la pace. Certo, forse non prendiamo posizione perché non abbiamo nulla da dire, perché il fuoco si è spento, perché non abbiamo più né desideri né idee. La fiaccola che doveva accendere altri fuochi ci è scivolata dalle mani.

 

Il fuoco del sapere

Nella volta della chiesa di sant’Ignazio c’è anche un angelo che tiene in mano uno specchio: è un’allusione alla scienza dell’ottica, particolarmente fiorente nel ‘600. È il simbolo della cultura, del sapere, dell’educazione, come fuoco che illumina e porta verità e pace. E noi, oggi, quale fuoco stiamo portando nel mondo?

 

Leggersi dentro

- Quale fuoco porti nelle tue relazioni?

- Come costruisci la pace?

 

P. Gaetano Piccolo S.I.

Compagnia di Gesù (Societas Iesu)