XV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Dt 30, 10-14; Sal 18; Col 1, 15-20; Lc 10, 25-37.

Congregatio pro Clericis

 

 

L’uomo è un essere ferito:

dal diavolo che lo ferisce di concupiscenza,

da Dio che lo ferisce d'amore.

Jacques Maritain

 

Le domande ci svelano

Ci sono domande che rivelano quello che passa nel nostro cuore. Domande che mostrano talvolta quanto siamo in realtà interessati solo a noi stessi, domande che tradiscono il nostro bisogno di essere rassicurati, ma soprattutto domande che dicono come non sempre siamo disposti ad ascoltare eventuali risposte. Siamo ripiegati sulle nostre situazioni, ossessionati dai nostri bisogni e facciamo fatica a entrare nella prospettiva dell’altro.

 

Cambiare la domanda

Le nostre domande, anche nella preghiera, anche quelle che rivolgiamo a Dio, a volte sono false, come quelle del dottore della Legge del testo di Luca (Lc 10,25). Sono false sia perché sono poste solo per ottenere conferma di quello che già pensiamo, sia perché tradiscono il disinteresse per una relazione che ci cambi la vita. Il dottore della legge è interessato solo a garantirsi la felicità, la vita piena, attraverso il suo merito e il suo sforzo volontaristico. La felicità consiste, per quest’uomo, nel tentativo di rispondere in maniera impeccabile ai suoi doveri: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Ma la vita è altrove. Quest’uomo comincerà a comprendere che la cura scrupolosa del dovere può renderci certamente corretti, ma non inevitabilmente felici. Per questo Gesù lo invita a percorrere un cammino di conversione, che passa attraverso la trasformazione delle sue domande: non si tratta di chiedersi chi sia prossimo a me, ma chi si è fatto prossimo. Si tratta di passare da una visione infantile che cerca di attirare l’attenzione, come il bambino che si ritira capricciosamente in un angolo, a una visione da adulto, capace di accorgersi e di prendersi cura delle ferite dell’altro.

 

Scendere

Gesù aiuta quest’uomo a vivere un viaggio interiore attraverso un racconto, che è proprio il racconto del viaggio di qualcun altro. Lo invita a mettersi in movimento. Si tratta di un viaggio in discesa: da Gerusalemme a Gerico ci sono più di mille metri di dislivello. Una strada insicura e pericolosa. È l’immagine di una discesa agli inferi, quella che Gesù sta per percorrere nel sabato santo. Gesù scenderà negli inferi per risollevare tutti coloro che in un modo o in un altro sono rimasti feriti dalla vita.

Anche noi ci ritroviamo a ripercorre quella stessa strada. Anche noi, come il sacerdote e il levita, spendiamo la nostra vita tra il culto e l’ordinarietà. Eppure, non sempre il culto porta automaticamente a prenderci cura delle ferite di un altro. È probabile che il testo di Luca voglia alludere al fatto che il sacerdote e il levita scendono da Gerusalemme dopo aver officiato nel tempio, ma quella preghiera non li ha resi più sensibili ai drammi dell’umanità.

 

Questione di umanità

Al contrario, c’è un samaritano che è semplicemente in viaggio, uno che sta portando avanti il cammino della sua vita. Eppure, questo samaritano si ferma davanti a un uomo che ha bisogno di aiuto. Fermarsi davanti alle ferite dell’altro non è infatti questione di culto, ma semplicemente di umanità.

Se c’è infatti un elemento che ci accomuna, è senz’altro la nostra vulnerabilità. Siamo tutti esposti a essere feriti in qualche modo dalla vita. Che io lo voglia o no, condividiamo la stessa vulnerabilità. A volte proviamo a chiudere gli occhi sulle ferite degli altri perché abbiamo paura di ricordarci delle nostre ferite e di risentirne il dolore. Si tratta però solo di una rimozione: le nostre ferite restano dove sono. La vita piena sta invece nel ritrovarsi solidali con tutti gli altri in questa inevitabile vulnerabilità che ci appartiene.

È paradossale e provocatorio questo inserimento nella parabola della figura positiva di un samaritano, perché pochi versetti prima Luca ha riferito del rifiuto proprio dei samaritani di permettere a Gesù di passare attraverso il loro territorio (Lc 9,52-53), in quanto stava andando chiaramente verso Gerusalemme, luogo nel quale i samaritani non celebrano il loro culto. Per i samaritani il luogo sacro è infatti il monte Garizim. È come se Gesù volesse spogliare la risposta alle ferite dell’uomo da ogni implicazione religiosa e ricondurla essenzialmente a un’esigenza umana.

 

Cambiare strada

I gesti di questo samaritano rievocano azioni messianiche: farsi vicino, fasciare le ferite, versare l’olio e il vino (cf Isaia 61). In fondo è Gesù stesso che si sta identificando con quest’uomo che si prende cura di chi sta morendo e nel contempo annuncia il suo ritorno: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno» (Lc 10,35).

A questo punto il dottore della Legge, come anche ogni lettore, può riprendere il suo viaggio e decidere se fermarsi davanti alle ferite dell’altro o continuare, senza fermarsi, chiuso nella propria indifferenza.

 

Leggersi dentro

-  Cosa puoi dedurre dalle domande che abitano la tua preghiera?

-  Come stai davanti alle ferite degli altri?

 

 

P. Gaetano Piccolo S.I.

Compagnia di Gesù (Societas Iesu)