VIII Domenica del Tempo Ordinario

Congregatio pro Clericis

Per una maggior comprensione del brano di oggi conviene ricordare qualche versetto che precede il nostro testo: “La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso”. La parola cattivo, in greco poneros, infatti, è una parola di significato complesso. Indica uno sguardo mosso da un desiderio per sé, il desiderio di prendere. Non vede le cose libere, ma le vorrebbe in riferimento a sé. Non riesce a vedere le cose in relazione agli altri. Tanto che in Mc 7,22, troviamo la stessa in termini invidia, cupidigia. Allora se uno viene mosso dal desiderio per sé, è chiaro che si ha un atteggiamento simile verso ciò che si vuole possedere. In questo sta l’assurdo del desiderio di possedere per sé. Si diventa servi di ciò che si vuole possedere. E noi evidentemente abbiamo tale rapporto verso le cose e, anche se leggermente camuffato, anche verso gli altri e persino verso Dio. Un rapporto religioso, ma di una religione servile che conta di attirarsi la benevolenza di Dio. Alla fine succede come con il figlio maggiore di Lc 15. È servile e perciò accusa il Padre che non gli ha dato niente, neanche un capretto per divertirsi con gli amici.

Il servilismo religioso arriva a un bivio e, normalmente, si sceglie mammona che almeno rappresenta una certezza immediata, molto più rassicurante di una servile obbedienza religiosa.

Accade un po’ ciò che è accaduto con il moralismo spiritualista, che con una facilità impressionante è passato al consumismo e materialismo pratico. Il crollo di un certo cristianesimo è proprio espressione di un atteggiamento religioso di fondo sbagliato. Infatti Cristo già prima di questo brano ha insegnato che il nostro rapporto vero e orante è quello dei figli che chiamano nella preghiera Dio Padre. Noi siamo figli e non servi.

Quando poi Cristo parla del mangiare, del bere e del vestito non dice di non occuparsi di queste cose. Ma ripete più volte di non preoccuparsi e affannarsi. Fa l’esempio dei figli e degli uccelli di cui si prende cura il nostro Padre che è nei cieli. Se il Padre si occupa di loro, tanto più si occuperà di noi che siamo suoi figli. Cristo dunque ci invita a prendere sul serio la nostra vera identità di figli del Padre celeste e affrontare la vita, anche quella legata alla terra, ai bisogni immediati, in una piena fiducia in Dio Padre. Se Lui ci ha dato in partecipazione la sua stessa vita per essere veramente figli, se fa persino vivere le piante, gli uccelli e tutto il creato, allora certamente non ci farà perire. Dice Cabasilas che Dio non comunica all’uomo un bene qualunque, riservando presso di sé la maggior parte dei beni, ma riversa tutta la pienezza della divinità, l’intera ricchezza della sua natura.

Se siamo davvero figli, allora, per noi vale che tutto ciò che è del Padre è anche nostro. Quanto è triste vedere il cristiano che non gusta la libertà dei figli nell’amore del Padre.

E quanto è festoso trovare i cristiani che gioiscono della relazione filiale e vivono di giorno in giorno soprattutto cercando il Volto del Figlio che rivela il Padre, cioè il Regno di Dio. 

P. Marko Ivan Rupnik